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English to Italian: Translation for the Museum of the Accademia Ligustica of Fine Arts General field: Art/Literary Detailed field: Art, Arts & Crafts, Painting
Source text - English L’Accademia Ligustica di Belle Arti fu istituita nel 1751 per iniziativa di un gruppo di artisti e di patrizi genovesi appartenenti a storiche ed illustri famiglie, riuniti intorno al marchese Gio. Francesco D’Oria.
La costituzione di una “galleria di quadri della scuola genovese”, in funzione didattica, risale invece agli inizi del XIX secolo e si deve, in particolare, all’iniziativa del marchese Marcello Luigi Durazzo, Segretario dell’Accademia dal 1823 al 1848. Grazie a lasciti, donazioni e acquisti, nel corso dell’Ottocento e fino alla metà del XX secolo il patrimonio artistico dell’istituto si arricchì di dipinti, disegni, stampe, calchi in gesso, sculture e bozzetti.
Oggi oltre un centinaio di dipinti, sculture, arredi storici, offrono ai visitatori un panorama unico sulla storia dell’arte a Genova e in Liguria. Nei depositi del museo sono conservati inoltre 2000 disegni e quasi 4000 stampe (tra xilografie, incisioni e litografie), una ricca calcoteca che conserva anche le preziose matrici seicentesche della “Galleria Giustiniana”, una significativa collezione di maioliche liguri ed europee e un’interessante gipsoteca.
Sala 1
Nella sala d’ingresso vi accoglie una serie di Ritratti di pittori genovesi di Carlo Giuseppe Ratti, direttore dell’Accademia nella seconda metà del Settecento e storiografo famoso per avere scritto, nel 1766, la prima Guida artistica della città di Genova.
Lo scenografico Ritratto di Paolo Gerolamo Grimaldi, di Francisco Xavier dos Ramos, pittore madrileno attivo a Roma, raffigura invece uno dei più generosi protettori delle arti a Genova in quegli stessi anni.
Sala 2
Nel breve corridoio in cui vi trovate potete ammirare l’Autoritratto di Anton Raphael Mengs, uno dei protagonisti del Neoclassicismo in Italia, cui Carlo Giuseppe Ratti fu legato da un intenso rapporto; di fronte a lui la Stele per i caduti dell’Aigaleos, calco in gesso della lastra marmorea conservata in villa Albani a Roma, sulla cui volta Mengs affrescò nel ??? il suo celebre Parnaso.
Sala 3
Oltre la porta a vetri, inizia il vero e proprio percorso cronologico che vi offrirà la possibilità, unica tra i musei genovesi, di esplorare l’evoluzione della pittura ligure dagli esordi ai giorni nostri.
Sulla parete di sinistra tre piccoli dipinti su tavola: quello più antico in alto, un Angelo entro un arco, è una rara testimonianza di soffitto ligneo dipinto databile alla fine del Duecento, proveniente dalla chiesa di San Siro a Sanremo.
[scuola ligure-piemontese, Angelo entro un arco inv. 265]
[scuola cretese-veneziana, inv. 74]
La Madonna col Bambino in basso a sinistra, corrisponde all’iconografia della Madonna Psychosostria, ovvero Salvatrice delle anime, un tipo di raffigurazione che si è diffuso in Macedonia nel XIV secolo. La tavoletta proviene probabilmente dal monastero olivetano di San Gerolamo a Genova Quarto e mostra i caratteri della pittura cretese-veneziana, in particolare nella campitura del manto piatto e astratta per conferire una maggiore ieraticità alla figura.
[Nicolò da Voltri, Cinque apostoli a mezza figura, inv. 73]
Il frammento che raffigura cinque apostoli è parte della predella di un polittico proveniente ancora dal monastero di San Gerolamo di Quarto. La critica data quest’opera entro la fine del Trecento e la assegna a Nicolò da Voltri, uno dei pochissimi pittori liguri medievali conosciuti. La qualità di questo artista, che recepì i preziosismi senesi insieme alla vivacità dei colori tipici della scuola emiliana, emerge nelle punzonature che compongono le aureole, come anche nelle eleganti posture che ricordano le miniature modenesi.
[Francesco d’Oberto, Madonna col Bambino tra i santi Domenico e Giovanni Evangelista, inv. 84]
La lunetta archiacuta, proveniente dalla chiesa di San Domenico, raffigura la Madonna con il Bambino affiancata dai Santi Domenico e Giovanni Evangelista. Il primo, riconoscibile dall’abito dell’ordine, regge nella mano sinistra un libro simbolo della dottrina, mentre con la destra mostra un giglio, richiamo alla purezza.
Nell’angolo in basso a sinistra è possibile scorgere i committenti, ovvero i monaci domenicani della omonima chiesa con convento, demoliti negli anni Venti dell’Ottocento per la costruzione del teatro Carlo Felice.
Dall’altro lato, san Giovanni Evangelista dalle sembianze di giovane è raffigurato nell’atto di scrivere il Vangelo. Alla sinistra di quest’ultimo, a caratteri gotici, compare la firma del pittore, Francesco d’Oberto, un artista la cui biografia è molto poco documentata.
[Donato de’ Bardi, I santi Caterina, Giovanni Evangelista, Giovanni Battista e Benedetto Abate, inv. 67]
La tavola con quattro figure di santi esposta sulla destra, è il frutto del riassemblaggio ottocentesco di quattro tavole singole provenienti da uno stesso polittico.
Sulla sinistra santa Caterina d’Alessandria, in abiti principeschi con la spada e la palma del martirio, poi san Giovanni Evangelista con il libro, san Giovanni Battista con l’abito di peli di cammello e infine san Benedetto da Norcia con il saio da monaco.
Queste figure, raffinatissime espressioni del gotico internazionale, sono state eseguite dal più importante pittore attivo in Liguria nel Quattrocento, Donato de’ Bardi. Originario di Pavia, l’artista è protagonista e testimone della vivacità del panorama figurativo ligure in cui alle componenti lombarde si sommano stimoli di matrice fiamminga. A Genova si incontrano infatti la grande tradizione gotica milanese che, con il cantiere del Duomo, aveva accolto i più aggiornati artisti mitteleuropei, e la “pittura di luce” di Van Eyck, al quale si erano rivolti importanti mercanti liguri.
[Nicolò Corso, Santi Sebastiano e Agostino e Santi Eusebio e Agnese, invv. 68-69]
Nella sezione successiva, sulla destra troviamo due tavole a profilo mistilineo raffiguranti due coppie di santi. In origine appartenevano al polittico conservato nel già citato monastero olivetano di San Gerolamo a Genova Quarto; la tavola centrale, raffigurante San Gerolamo in trono, è oggi conservata al Philadelphia Museum of Art negli Stati Uniti.
Sopra la testa di san Sebastiano a sinistra e sopra quella di sant’Agnese nella tavola di destra, sono visibili le finte arcate entro cui le figure erano incorniciate e che scandivano il paesaggio retrostante. Siamo alla fine del Quattrocento e il fondo oro che caratterizzava ancora la precedente generazione di artisti come Donato de’ Bardi, lascia spazio a più verosimili paesaggi secondo la tradizione fiamminga, il tutto permeato dai preziosismi grafici e materici con l’utilizzo dell’oro che si riallacciano alla maniera lombarda di Vincenzo Foppa.
Del pittore Nicolò di Lombardoccio, detto il Corso per la sua provenienza dall’isola, si sa infatti che ebbe una formazione intrisa di queste due correnti, da un lato la nuova generazione di lombardi, Foppa e Bergognone, dall’altro le pale fiamminghe che egli poteva vedere direttamente a Genova, il tutto permeato dal suo stile personale un po’ freddo e severo per conferire eleganza e ieraticità. Come la sant’Agnese e il sant’Eusebio entrambi dagli occhi vitrei o come lo sguardo perso nel vuoto di san Sebastiano a cui si contrappone un sant’Agostino dalla veste raffinatissima, severo e quasi distratto.
[Manfredino Boxilio, Polittico di san Giacomo, inv. 79]
Alla parete di sinistra si può ammirare un monumentale polittico, purtroppo non completo, originariamente collocato nella parrocchiale di Gavi, nel basso Piemonte, intitolata a San Giacomo.
Al di sotto della tavola centrale inferiore un’iscrizione in caratteri gotici indica la data di esecuzione, 1478, i committenti, Antonio Guasco signore di Gavi e la Comunità stessa di Gavi, nonché l’autore, Manfredino Boxilio di Castelnuovo Scrivia, presso Alessandria.
Ma vediamo chi sono i personaggi effigiati. Sulla predella, la tavola in basso dallo sviluppo orizzontale, sono raffigurati entro rosoni Cristo benedicente, al centro, insieme ai dodici apostoli. I santi del primo registro che occupano ognuno una tavola sono, a partire da sinistra, san Giovanni Evangelista, il primo a sinistra, mentre scrive il Vangelo, poi san Giovanni Battista, con l’agnellino in grembo, simbolo del sacrificio, e il filatterio, ovvero quel rotolo di pergamena su cui corre l’iscrizione “ECCE AGNUS DEI”. Al centro compare il santo a cui è intitolata la chiesa che ospitava in origine il polittico, san Giacomo il Maggiore, fratello di san Giovanni Evangelista e noto per aver diffuso il Cristianesimo nella penisola iberica. Proprio la sua attività di predicatore itinerante è l’origine degli attributi che tradizionalmente lo contraddistinguono: il bastone da viandante, chiamato “bordone”, il libro, simbolo della predicazione del vangelo, e la conchiglia, visibile sul cappello, che richiama i pellegrinaggi (soprattutto a Santiago di Compostela) poiché oltre a simboleggiare la purezza e la rinascita era uno strumento utile durante i viaggi. Di capesante si cibavano infatti i pellegrini lungo la costa di Finis Terrae, mentre la conchiglia era poi riutilizzata per attingere acqua alle fonti.
Affiancano San Giacomo, san Pietro con la chiave nella mano destra e san Lorenzo, rivestito dei paramenti da diacono e con la graticola, simbolo del suo martirio.
Passando al registro superiore, al centro domina la Madonna con Bambino in trono; a sinistra, san Francesco, con il saio dell’ordine e il Crocifisso, e san Pietro martire, santo domenicano veronese, il cui martirio è indicato oltre che dalla palma dal grosso coltello conficcato nella sua testa.
A destra una sola tavola che raffigura santo Stefano protomartire, proveniente dalle collezioni civiche di Palazzo Bianco.
Sugli elementi laterali compaiono, dal basso in alto: san Bernardo, san Sebastiano, san Giorgio e l’Arcangelo Gabriele, a sinistra e San Giuliano, Sant’Antonio Abate, Santa Caterina d’Alessandria e la Vergine Annunziata a destra. Sovrasta l’intero polittico una piccola Crocifissione che doveva costituire la cimasa.
[Perin del Vaga, Allegoria della Liguria, Allegoria della Vigilanza, inv. 62]
La parete alla vostra destra è interamente dedicata all’artista che introdusse a Genova il Rinascimento, Pietro Buonaccorsi detto Perin del Vaga. Fiorentino di origine, ma poi attivo nei cantieri romani accanto a Raffaello, giunse in Liguria dopo il 1527, anno del sacco di Roma, in seguito alla chiamata di Andrea Doria che lo aveva voluto per decorare la sua villa suburbana di Fassolo, oggi nota come “Palazzo del Principe”.
I due dipinti monocromi sono dei “cartoni”, ovvero degli studi preparatori su carta, in seguito incollata su tela, che venivano utilizzati nelle botteghe dei pittori per riportare le composizioni elaborate dal maestro sia su affreschi che su quadri. Il loro vantaggio è che potevano essere riutilizzati; non è infrequente infatti notare, soprattutto nei dipinti rinascimentali, il reiterarsi di alcune figure i cui contorni venivano tracciati con il riporto da un cartone, per poi essere colorate e ombreggiate in loco.
Secondo la critica si tratta di cartoni preparatori per arazzi stretti e lunghi, da collocare negli spazi tra le finestre.
[Perin del Vaga, Polittico di sant’Erasmo, inv. 53]
Accanto, ancora di Perino il Polittico di Sant’Erasmo, proveniente dall’omonimo Oratorio di Genova Quinto. Le tavole vennero acquistate dall’Accademia nel 1870. Poiché la vendita suscitò polemiche tra i fedeli, a parziale risarcimento l’Accademia fece realizzare una copia fedele da collocare al posto dell’originale da Giovanni Quinzio, allora direttore della scuola di pittura.
La lunetta rappresenta la Madonna col Bambino tra i santi Chiara di Assisi a destra e Nicola di Bari a sinistra, raffigurato in abiti vescovili e con in mano tre palle d’oro, che simboleggiano l’episodio secondo cui il santo fornì la dote a tre sorelle costrette a prostituirsi perché povere.
Queste figure, perfettamente inserite all’interno della lunetta con sicura concezione dello spazio e della plasticità, richiamano con gli sguardi i santi sottostanti: san Pietro con le chiavi, sant’Erasmo anch’egli in abiti vescovili e san Paolo con la spada simbolo del suo martirio ma anche delle nobili origini. Più statici e raffigurati frontalmente, sono stati probabilmente realizzati con l’aiuto della bottega, secondo le modalità lavorative introdotte da Raffaello che per fronteggiare le numerose commissioni aveva costituito una nutrita equipe la cui distribuzione degli incarichi era rigidamente stabilita dal capo cantiere.
Di un collaboratore sono le due tavolette che, insieme a una terza perduta, costituiscono la predella e raffigurano un Miracolo di sant’Erasmo e la Vocazione di san Pietro, entrambe scene marine che alludono al fatto che sant’Erasmo è il protettore dei marinai.
[Antonio Semino, Deposizione dalla croce, inv. 54]
Proseguendo, si entra nell’ultima sezione della sala 3: sulla destra è esposta una Deposizione dalla croce di Antonio Semino, originariamente collocata nell’antica chiesa di San Domenico.
La tavola venne realizzata pochi anni dopo l’arrivo di Perin del Vaga a Genova e testimonia la compresenza nella prima metà del Cinquecento di diverse istanze. Qui infatti, nonostante l’approdo del Rinascimento romano, si respira un’atmosfera legata alla tradizione lombardo-fiamminga che aveva caratterizzato la precedente generazione di artisti. Le figure mostrano una chiara derivazione dai modi lombardi, ad esempio di Vincenzo Foppa ma anche di Bramante, mentre il paesaggio retrostante, dettagliato e dominato dai toni verdi-azzurri, richiama fedelmente gli scenari fiamminghi che contraddistinguono le pale di Memling o quelle di Jos Van Cleve presenti a Genova.
Sala 4
Passando alla sala successiva, le opere esposte in questo ambiente documentano la pittura genovese del pieno Cinquecento e degli inizi del Seicento, con due artisti di fama internazionale: Luca Cambiaso e Bernardo Strozzi.
[Giovanni Cambiaso, Donna giacente e putti, inv. 663]
Proprio sopra l’ingresso, un’opera del padre di Luca, Giovanni Cambiaso, già allievo di Antonio Semino. Si tratta di un frammento di affresco trasportato poi su tela, che faceva parte di una complessa decorazione eseguita nel 1547, all’interno (o più probabilmente all’esterno) di un palazzo demolito nel corso dell’Ottocento per l’apertura di via Carlo Felice, oggi via XXV aprile.
Altri frammenti di questo ciclo decorativo sono conservati nel Museo di Palazzo Bianco.
[Luca Cambiaso, Cristo davanti a Caifa, inv. 66]
La parete alla vostra sinistra è interamente dedicata a Luca Cambiaso, il più grande maestro genovese del Cinquecento che, insieme a Bergamasco e allo stuccatore urbinate Marcello Sparzo, dominarono la scena nel campo della decorazione murale. Il loro sodalizio caratterizza infatti i principali cantieri del tardo Rinascimento genovese, dai palazzi privati, alle chiese gentilizie alle ville suburbane.
Il primo dipinto è uno dei suoi più celebri “notturni”, genere al quale il pittore approdò nella maturità, dopo un intenso percorso artistico che lo vede attraversare tutta la “maniera” da Michelangelo a Correggio, reinterpretati con il suo personale background genovese. Giunto in età avanzata e intriso dei dettami della Controriforma, Luca sceglie questo modernissimo espediente, il “lume di candela”, per rendere al massimo la drammaticità e la spiritualità del momento narrato. Cristo, arrestato dalle guardie, viene portato innanzi al sommo sacerdote Caifa che lo interroga sulla sua natura divina.
Il volto corrucciato dell’anziano sacerdote e il profilo di un Cristo, rassegnato e consapevole, costituiscono gli elementi scenici principali, che emergono grazie alla luce calda e vibrante di due candele. Ardita e fortemente plastica la figura del soldato di spalle, che conduce Cristo davanti al giudice.
Questo capolavoro proviene dalla prestigiosa raccolta del marchese Vincenzo Giustiniani, ricchissimo banchiere della corte pontificia, raffinato collezionista di antichità, protettore e committente di Caravaggio che certamente ebbe occasione di vederlo.
[Luca Cambiaso, Riposo durante la fuga in Egitto, inv. 55]
Il quadro che segue venne invece donato all’Accademia, insieme ad altre importanti opere, da Marcello Durazzo, personaggio di spicco nella vita culturale genovese di fine Settecento e grande protettore delle arti, nonché proprietario del palazzo in via Balbi, che oggi ospita la facoltà di Lettere e Filosofia.
Rispetto al Cristo davanti a Caifa, la critica suggerisce una datazione di circa cinque anni precedente, il che mostra la complessità del percorso artistico di Luca Cambiaso. Qui tutto appare diverso: la gamma cromatica, la vegetazione e il gioco di sguardi, tutti incentrati sul Gesù Bambino benedicente.
Si ravvisa nella tela l’attenta riflessione che l’artista ha compiuto sull’opera di Correggio, conosciuta durante un soggiorno a Parma in giovane età. Ciò che distingue però il lessico pittorico di Cambiaso dalle eleganti ed evanescenti figure del maestro emiliano è la solida fisicità dei personaggi. Non a caso Cambiaso è celebre anche per i suoi disegni “cubisti”, in cui le figure sono ridotte nel segno grafico a manichini poiché l’interesse del pittore è tutto rivolto alla loro posizione nella spazio e al rapporto reciproco.
[Luca Cambiaso, Sacra Famiglia con angelo e donatore, inv. 56; Deposizione dalla croce, inv. 65; Madonna con Bambino, inv. 59]
Le successive tre opere affrontano ancora soggetti religiosi, destinati per lo più alla devozione privata. La piccola Madonna con Bambino, molto simile al Cristo davanti a Caifa per gli effetti luministici, conobbe nel tempo un’ampia fortuna, sono infatti note diverse repliche autografe o di bottega, una delle quali si trova agli Uffizi, che testimoniano l’alto gradimento incontrato presso i collezionisti da questa composizione, semplice quanto intensa.
[Bernardo Castello, Madonna con Bambino e santi, inv. 420]
Prima di accedere alla prossima sezione della sala, alla vostra destra, un dipinto di un altro grande artista del XVI secolo, Bernardo Castello che fu allievo di Luca Cambiaso.
La fortuna critica di questo pittore è stata col tempo offuscata dalla fama del figlio, Valerio, eppure l’ampiezza della sua produzione è un chiaro sintomo di quanto la sua opera, oggi ritenuta un po’ ripetitiva e attardata, abbia caratterizzato profondamente il passaggio dal Cinque al Seicento. Bernardo fu uno degli artisti più colti del suo tempo, amico di Torquato Tasso, per il quale illustrò la prima e la seconda edizione della Gerusalemme Liberata, e membro dell’Accademia fiorentina.
Al centro, il gruppo con la Madonna che tiene il Bambino in grembo mentre viene omaggiato da san Giovannino è una composizione che ricorre sovente nella sua produzione; ai lati, san Marco con il leone e il vangelo da lui composto, sul quale compare la data “15..”e, a sinistra, una figura femminile identificabile forse con santa Brigida, santa di nobili origini svedesi, particolarmente venerata a Genova per il suo passaggio in città cui fece seguito la fondazione di un monastero a lei dedicato.
[Bernardo Strozzi, Visione di san Domenico, inv. 382; Testa del Battista, inv. 534]
La sezione successiva è quasi interamente dedicata a Bernardo Strozzi, detto il “Cappuccino” per l’appartenenza a questo Ordine, uno dei più noti pittori genovesi, riconosciuto uno dei maestri della pittura barocca italiana.
Lo vediamo, nella prima opera sulla sinistra, in uno straordinario bozzetto raffigurante la Visione di san Domenico, realizzato su committenza Doria, per la decorazione della volta del coro nella già citata chiesa di San Domenico, demolita per la costruzione del Teatro Carlo Felice.
Nella parte in alto del dipinto è visibile Cristo pronto a lanciare tre dardi per punire altrettanti vizi - orgoglio, avarizia e lussuria – mentre la Madonna indica al Figlio due giusti, san Domenico e san Francesco, in basso, riconoscibili dagli abiti dei rispettivi Ordini.
Tra gli altri santi raffigurati, se ne segnalano tre legati alla Città di Genova: san Giovanni Battista a destra con la croce e le mani giunte, san Giorgio appena abbozzato in basso a sinistra con la sua armatura, e san Lorenzo di cui è ben visibile la graticola del martirio.
Accanto alla tela un frammento di affresco con la Testa del Battista è l’unica testimonianza superstite dell’intero ciclo decorativo.
La tela è riconosciuta come una delle migliore prove di Strozzi per la piena assimilazione che il pittore qui dimostra delle diverse componenti artistiche che hanno influenzato la sua formazione: dal manierismo di Federico Barocci, alla cultura emiliana di Parmigianino, fino alla pittura veneta di Tintoretto e alla vivacità cromatica di Rubens, il tutto reinterpretato alla luce del suo personalissimo linguaggio figurativo, con una perfetta commistione di elementi coloristici, luministici e compositivi.
Nella sala sono presenti altre straordinarie tele di soggetto sacro: San Giovannino, Il compianto su Cristo morto e la Parabola dell’invitato a nozze.
[Bernardo Strozzi, Parabola dell’invitato a nozze, inv. 384]
Quest’ultimo dipinto è uno dei bozzetti elaborati per una grande tela originariamente inserita, insieme ad altre, nel soffitto ligneo della chiesa dell’Ospedale degli Incurabili a Venezia. Nel 1630, Strozzi infatti fugge da Genova e si ripara nella città lagunare in seguito ad una lunga lite con l’Ordine dei Cappuccini che gli aveva imposto il rientro tra le mura del convento e non riteneva consona allo stato religioso la sua attività di pittore.
Nell’ovale è narrata la famosa parabola, riportata nel Vangelo di Matteo: un invitato, presentatosi a un banchetto nuziale in abiti non adeguati, viene cacciato dal padrone di casa che ordina ai servitori di gettarlo “nelle tenebre”, dove “sarà pianto e stridore di denti. Perché molti sono chiamati ma pochi eletti”. Il significato di questo messaggio, all’interno del complesso ospedaliero, era naturalmente quello di essere sempre preparati alla chiamata del Signore.
Esiste un altro bozzetto, conservato agli Uffizi di Firenze, che si differenzia da questo per una maggiore attenzione verso l’architettura entro la quale si svolge la scena, a scapito di una riflessione sulla disposizione e interazione dei personaggi che in questo caso, invece, è l’obiettivo di studio.
Insieme ad altre opere, il dipinto fu donato all’Accademia da Giacomo Spinola, proprietario ottocentesco del palazzo oggi sede della Galleria Nazionale di Palazzo Spinola.
[Bernardo Strozzi, Sant’Agostino lava i piedi a Cristo in sembianze di pellegrino, inv. 380bis]
Accanto una pala d’altare, Sant’Agostino lava i piedi a Cristo in sembianze di pellegrino, originariamente collocata nell’antica chiesa di Sant’Agostino che oggi , sconsacrata, ospita il museo omonimo.
La tela illustra un episodio leggendario secondo il quale il santo sarebbe tornato alla predicazione tra la gente, dopo che Cristo gli era apparso come un pellegrino nell’eremo in cui si era ritirato. Fulcro della scena le figura di Sant’Agostino e di Cristo con mantello e un bastone da viandante, colte nel momento straordinario dell’agnizione, nello stupore nelle espressioni e nei gesti.
È interessante notare come in questa tela la ricerca coloristica non abbia il predominio, ma presenti un tono per così dire più elegante e ricercato, soprattutto nella scelta di inserire al centro della composizione una colonna a cui si contrappone l’orizzontalità delle ali spiegate dell’angelo. In una scena così raffinata e dalle linee di forza tanto equilibrate, la critica ha ravvisato una sorta di ritorno alla lezione toscana, “passando” per Orazio Gentileschi che proprio in quegli anni aveva lasciato a Genova tele caratterizzate da un caravaggismo ingentilito.
[Giovanni Battista Paggi, Madonna del Rosario, inv. 401]
Di fronte, una Madonna del Rosario, firmata da Giovanni Battista Paggi e datata 1615. Pittore di nobili origini, Paggi aveva una spiccata vocazione per la pittura ma le origini aristocratiche non gli permettevano di entrare nella bottega di qualche rinomato artista. Per cui si può dire che fu un autodidatta.
La sua bravura fu però notata da un nobile genovese, che voleva acquistare un suo dipinto che Paggi, invece, voleva donargli. Nata una rissa sull’entità del prezzo, il pittore inavvertitamente uccise il nobile. Fuggito nel Granducato di Toscana, per diversi anni rimase in esilio, per poi rientrare nella Superba in seguito alla chiamata del principe Doria, la cui villa, Palazzo del Principe, godeva di uno status di extraterritorialità simile a quelle delle odierne ambasciate.
Perdonato poi dalla Repubblica, il pittore ebbe un’attività molto intensa e presso la sua bottega si formarono artisti di grande levatura tra i quali il Grechetto, che incontreremo più avanti.
La pala del Rosario è una prova tarda, con un’immagine devozionale piuttosto ricorrente nella pittura genovese, in cui la Madonna col Bambino è attorniata dai quindici misteri del Rosario. Il particolare culto riservato dalla città a Maria sfocerà, nel 1637, nella sua incoronazione a Regina di Genova.
[Domenico Fiasella, Madonna col Bambino, san Giorgio, san Bernardo e san Giovannino, inv. 409]
L’ultima sezione della sala ospita dipinti realizzati da pittori appartenenti alla stessa generazione. Questa selezione di quadri vi calerà quindi nella Genova della prima metà del Seicento, epoca in cui le dimore aristocratiche e le chiese erano gremite di tele caratterizzate da un elemento comune: la risposta, ogni volta personale e diversa, alla lezione caravaggesca.
Di tutti gli artisti di questo periodo, Domenico Fiasella, autore delle due tele poste una di fronte all’altra proprio alla fine della sezione, è considerato appunto il più “caravaggesco”.
[Domenico Fiasella, Morte di Meleagro, inv. 354]
Il dipinto in cui campeggia la figura di Meleagro, membro della spedizione degli Argonauti, è una tela realizzata probabilmente dopo il rientro del pittore da Roma. Nella capitale, terminato l’apprendistato presso il Paggi, Fiasella non vide solo le opere di Caravaggio ma entrò in contatto con quella foltissima schiera di artisti di diverse provenienze che avevano colto la novità del maestro lombardo come Guido Reni, Orazio Gentileschi, Carlo Saraceni.
La diagonale creata dal bagliore del corpo nudo illuminato dell’eroe morente e la teatralità degli altri personaggi, tra i quali Atalanta, la donna amata dal guerriero, non può non richiamare infatti alcune opere romane di Caravaggio.
L’autore del Cristo deposto dal taglio spiccatamente orizzontale, posto a fianco, è di un allievo di Domenico Fiasella. Si tratta di Luca Saltarello, un pittore poco noto poiché morì a soli trent’anni. Sono pochissime le tele in cui la critica riconosce concordemente la sua autografia. La qualità di questo dipinto, donato nel 2003 dall’imprenditore genovese Riccardo Garrone, fa rimpiangere la prematura scomparsa di un artista così talentuoso, al quale non a caso si era rivolto un mecenate avveduto come Vincenzo Giustiniani, pronto a recepire le novità in campo artistico.
[Luciano Borzone, Assunta, inv. 7]
In alto si può ammirare l’Assunta, opera di Luciano Borzone, un pittore che morì, cinquantacinquenne, cadendo da una scala mentre concludeva un dipinto nella chiesa della Santissima Annunziata del Vastato.
Borzone fu anche un raffinato intellettuale, amico di Bernardo Castello e del poeta Gabriello Chiabrera e frequentò l’aristocratico genovese Gio. Carlo Doria, straordinario collezionista, per il quale Borzone ebbe un ruolo di mediatore con i pittori milanesi.
La tela costituisce un studio del giovane artista genovese sull’imponente pala che Guido Reni aveva realizzato per alla chiesa del Gesù nel 1617. Quando, nel 1851, la tela venne donata all’Accademia da Giovanni Ponticelli, venne ritenuta un bozzetto autografo dello stesso Reni.
[Gioacchino Assereto, Martirio di san Bartolomeo, inv. 379bis]
Sulla parete di fronte, un dipinto dal taglio orizzontale, il Martirio di san Bartolomeo di Giacchino Assereto, allievo di Borzone e di Andrea Ansaldo, l’autore della Deposizione esposta di fronte.
Secondo la tradizione, il santo trovò una morte atroce, per scorticamento, durante le sue predicazioni in Medio Oriente. Il tema, drammatico e cruento, piacque molto in epoca barocca; anche Assereto vi si cimentò con lo splendido corpo del martire che domina la scena circondato dai carnefici, mentre un angelo è pronto ad accogliere la sua anima.
Sala 5
[Ceramiche]
Proseguendo, al centro della sala successiva, la vetrina espone alcune pregevoli ceramiche seicentesche di manifattura savonese. Il Ponente ligure, e soprattutto Savona e Albisola, è rinomato da secoli per la produzione di maiolica.
Tra i manufatti, tutti con decoro “bianco-blu” a “scenografia barocca” che caratterizza la migliore produzione del XVII secolo, si segnala il sottocoppa quadrato sul quale è raffigurato un episodio tratto dal canto quindicesimo della Gerusalemme Liberata. A bordo della barca la Fortuna accoglie i due cavalieri inviati da Goffredo di Buglione per liberare il paladino Rinaldo, tenuto prigioniero su un’isola dalla maga Armida.
[Giovanni Andrea De Ferrari, Famiglia di Giacobbe, inv. 411]
La prima sezione della sala è interamente dedicata a Giovanni Andrea De Ferrari, che può essere considerato l’epigono della tradizione tardo-manierista di primo Seicento - dalla colta tradizione di Bernardo Castello al colorismo di Strozzi - e contemporaneamente il capostipite e il mentore della nuova generazione di pittori barocchi, come Grechetto, Valerio Castello e Gio Bernardo Carbone, tutti artisti presenti lungo il percorso.
Nel dipinto alla sinistra dell’ingresso che raffigura la Famiglia di Giacobbe lo vediamo impegnato in un tema biblico: il rapporto tra la parte figurativa e quella della natura morta prelude la produzione del suo allievo Grechetto, che svilupperà ampiamente questo filone figurativo.
[Giovanni Andrea De Ferrari, Esaù e Giacobbe, inv. 360]
Nella parete di fronte, il primo dipinto raffigura ancora un episodio veterotestamentario, la Vendita della primogenitura: a sinistra Esaù, figlio di Isacco e Rebecca, cacciatore, stringe la mano al fratello Giacobbe in segno di accordo, nel ricevere il piatto di lenticchie con cui ha scambiato la primogenitura.
[Giovanni Andrea De Ferrari, Ebbrezza di Noè, inv. 383]
Il terzo dipinto della parete si riferisce a un brano tratto dal libro della Genesi: l’uomo che giace in primo piano con le gambe scoperte è Noè ubriaco, di fronte a lui i suoi tre figli con diversi atteggiamenti: Cam, a sinistra, lo deride e per questo la sua stirpe verrà maledetta dal padre, Sem e Iafet invece offrono al genitore di che coprirsi e riceveranno quindi la benedizione paterna.
[Giovanni Andrea De Ferrari, Santo resuscita un muratore caduto, inv. 356]
A destra, sulla parete laterale, una delle migliori prove del pittore genovese: Un Santo resuscita un muratore caduto La pala proviene dalla chiesa di San Benigno, una delle più antiche abbazie benedettine della regione, oggi scomparsa, che sorgeva sulla collina omonima, sbancata negli anni Venti del Novecento.
Non è stato ancora identificata con certezza l’identità del santo che intercede per salvezza del muratore: l’episodio compare nelle vite di diversi santi monaci ma, per la provenienza della tela, la critica si è orientata su san Placido o san Mauro, santi taumaturghi dell’ordine benedettino. Forti sono le analogie – soprattutto compositive – con il Miracolo di sant’Ignazio realizzato nel ?? da Rubens per la chiesa genovese del Gesù.
Si può ammirare in quest’opera il forte realismo che caratterizza tutta la produzione di Giovanni Andrea e che qui raggiunge livelli elevatissimi e vi si possono riconoscere i debiti verso Caravaggio e Velazquez, reinterpretati in maniera personale, con il ricorso ad un colore materico ma al tempo stesso scabro.
[Orazio De Ferrari, Sant’Agostino lava i piedi a Cristo in sembianze di pellegrino, inv. 367]
Nella seconda sezione incontriamo, entrando a sinistra, Orazio De Ferrari con una tela, la cui iconografia, Sant’Agostino lava i piedi a Cristo in sembianze di pellegrino, era già stata affrontata da Strozzi nella sala precedente.
È possibile quindi fare un raffronto e notare che, nonostante alcune tangenze compositive come il drappo che scenograficamente si arrotola attorno alla colonna, il dipinto di Orazio mostra un maggior naturalismo e un’atmosfera per così dire più intima. Le parole che escono dalle labbra di Cristo, in latino, sono quelle riportate dal tedesco Nicolaus Crusenius nel suo Monasticon Augustinianum, edito nel 1623.
[Gio. Bernardo Carbone, Adorazione dei Magi, inv. 640]
Accanto, l’opera di uno dei suoi allievi, Gio. Bernardo Carbone, celebre a Genova per la sua feconda attività di ritrattista, ma che qui vediamo in una tela dal soggetto sacro, l’Adorazione dei Magi nella quale il pittore evidenzia il suo debito nei confronti della lezione vandychiana.
[Vincent Malò, Adorazione dei Magi, inv. 7; Cristo e la Samaritana al pozzo, inv. 7]
Sulla parete di destra, in basso, due piccoli dipinti su rame di un artista francese, molto attivo a Genova e legato ai modi di Rubens;
[Antonio Travi, Paesaggio con figure, inv. 373]
Sopra di essi un’opera di un apprezzato paesaggista dell’epoca, molto vicino ai modi fiamminghi, Antonio Travi, detto il Sestri per la sua provenienza dal sobborgo genovese.
[Giovanni Benedetto Castiglione, detto il Grechetto, Entrata degli animali nell’arca, inv. 412]
Alla parete di fronte una coppia di dipinti realizzati da uno dei più celebri maestri genovesi, Giovanni Benedetto Castiglione, detto il Grechetto. Non si conosce l’origine di questo soprannome, ma si sa che iniziò la sua formazione presso la bottega di Paggi e poi di Giovanni Andrea De Ferrari. Dopo il suo trasferimento a Roma, divenne famoso anche nella capitale. La sua celebrità raggiunse le maggiori corti dell’epoca, tanto che terminò la sua carriera a Mantova come pittore dei Gonzaga.
La peculiarità dei suoi dipinti è la predominanza della natura e di composizioni di animali e vasellame che mettono talvolta in secondo piano il soggetto principale; questo è evidente soprattutto nella tela di sinistra in cui la figura di Noè che indica agli animali la via per entrare nell’arca è in secondo piano rispetto agli animali stessi e ai rami da cucina che dominano la scena.
Il dipinto proviene dal Palazzo Spinola di Pellicceria (oggi Galleria Nazionale di Palazzo Spinola) dove era esposto accanto a un pendant raffigurante un Viaggio di Abramo.
[Giovanni Benedetto Castiglione detto il Grechetto, Giacobbe e gli idoli di Labano, inv. 455]
A fianco un’opera qualitativamente ancora più elevata, una scena biblica dai toni accesi, eseguita nella maturità dell’artista, con colori dall’alta saturazione che si contrappongono gli uni agli altri, in una miscela di reminiscenze venete e rubensiane che dimostrano quanto sia colta e complessa la pittura di Grechetto.
[Pellegro Piola, Madonna del rosario fra i santi Domenico e Caterina, inv. 372]
Gli ultimi due dipinti della sala sono una rarissima testimonianza dell’attività di Pellegro Piola, lo sfortunato fratello maggiore del più noto Domenico, morto appena ventitreenne nel corso di una rissa.
La prima è un gonfalone professionale commissionato dalla confraternita della Madonna del Rosario presso la chiesa di San Domenico. Il gonfalone è dipinto su damasco di seta su entrambi i lati. Entrambe le “facce” mostrano la stessa iconografia, ovvero la Madonna del Rosario con il Bambino tra i santi Caterina da Siena e Domenico; ma il lato che i fedeli vedevano per primo mostra la Madonna con lo sguardo abbassato nell’atto di porgere il rosario a san Domenico, mentre il Bambino lo indica a santa Caterina; su quello successivo, la Vergine esorta i due santi a divulgare la pratica del rosario, san Domenico lo ha appena ricevuto e infatti lo tiene in mano e la Madonna, con lo sguardo rivolto verso gli spettatori, alza la mano e induce san Domenico a mostrarlo a chi è dinnanzi.
Su entrambe le facce, due puttini reggono sopra la testa della Madonna una corona, segno che il dipinto, una delle ultime opere dell’artista, è stato realizzato dopo il 1637. In quell’anno infatti la Città di Genova incoronava solennemente in cattedrale la Madonna quale propria sovrana. Con questo escamotage Genova non era più una Repubblica, ma una monarchia posta sotto la sovranità della Vergine Maria; in questo modo la Repubblica riusciva a dirimere un problema di cerimoniale che si era creato in seguito a una bolla emanata da papa Urbano VII, secondo la quale vi era un ordine di precedenza per le Monarchie, e riconquistava una sua preminenza nei cerimoniali di corte.
[Pellegro Piola, Madonna con Bambino, san Giovannino e sant’Eligio vescovo, deposito]
L’altra opera di Pellegro Piola, sulla destra appena prima di varcare la soglia per la sala successiva, è un dipinto su ardesia, pietra tipica della Liguria dall’ottima resa pittorica. Molti grandi maestri come Sebastiano del Piombo, Tiziano e Rubens ne fecero uso, sfruttando anche le diverse proprietà di riflettenza rispetto ai supporti tradizionali.
Il manufatto proviene da un’edicola votiva collocata sul prospetto di un edificio di via degli Orefici, che oggi accoglie una copia al fine di preservare l’originale. Come avrete modo di verificare visitando il centro storico della città, questi tempietti in marmo o in stucco che custodiscono immagini sacre, sono particolarmente frequenti a Genova. Erano commissionati da privati, da confraternite o, come in questo caso, da corporazioni al fine di ottenere la protezione divina su luoghi e attività.
In questo caso fu la corporazione degli orafi, il cui quartiere era appunto in via degli Orefici, a chiedere a Pellegro Piola, nel 1640, un’immagine in cui accanto alla Madonna col Bambino fossero raffigurati anche il patrono di Genova, san Giovanni, e il protettore degli orafi, sant’Eligio.
Secondo una leggenda, proprio la bellezza di quest’opera provocò la gelosia di un amico di Pellegro, Giovanni Battista Bianco, che lo uccise, nel corso di una lite, in piazza Sarzano.
Al centro, un’altra vetrina in cui sono esposte delle pregevoli ceramiche figurate della metà del XVIII secolo, tra le quali si segnala il sottocoppa policromo in cui è raffigurata l’apparizione della Madonna al beato Antonio Botta, evento miracoloso avvenuto a Savona nel 1536 e che ebbe un’enorme fortuna iconografica, come Madonna della Misericordia, in tutto il territorio dell’antica Repubblica di Genova.
Sala 6
[Valerio Castello, Sacra Famiglia con san Giovannino, inv. 358]
La prima opera che vedete entrando alla vostra sinistra, Sacra Famiglia con san Giovannino, è opera di Valerio Castello, uno dei protagonisti del Barocco genovese. Figlio di un pittore coltissimo come Bernardo, di cui avete visto un dipinto nelle sale precedenti, si formò presso… nonostante una vita breve, morì a soli 35 anni, ebbe una carriera intensa, che condizionò profondamente la scena genovese.
Questa Sacra Famiglia mostra i caratteri peculiari della sua pittura che, partendo dall’eleganza di Parmigianino, visto durante i suoi viaggi formativi, giunge a forme eleganti e leggere, con figure senza peso, distribuite in ideali diagonali di sicuro effetto decorativo.
Proprio questo raffinato gusto per la decorazione – Valerio non a caso è considerato uno dei più innovativi esponenti del barocco genovese – è l’eredità che lascia a colui che dominerà la scena dopo la sua morte, Domenico Piola.
[Domenico Piola, Baccanale di putti e fauni, inv. 362]
La sala è quasi interamente dedicata a “Casa Piola”, la più grande bottega genovese, capeggiata da Domenico, fratello minore di Pellegro. La si chiama “casa” anche per sottolineare la gestione per così dire famigliare di questa folta schiera di pittori e decoratori, tra i quali ricordiamo Stefano Camogli, Gregorio De Ferrari, … che arricchirono i celebri “Palazzi di Genova” di tele, arredi e complessi apparati decorativi, caratterizzati da una perfetta interazione tra stucchi e affreschi.
A destra, Baccanale con putti e faunetti, un’opera tipica della produzione del maestro genovese, temi ricercatissimi dall’aristocrazia genovese. Se aprissimo a caso la Guida della città di Genova compilata dal Ratti nel 1766, che descrive i più importanti palazzi cittadini elencando le opere al loro interno, sarebbero altissime le probabilità di vedere citata un’opera come i “putti di Domenico Piola”, proprio per l’enorme favore incontrato dal pittore al quale tutti i nobili della seconda metà del Seicento si erano rivolti per arredare le pareti delle loro sontuose dimore.
[Domenico Piola, Allegoria della Carità o della Fede, inv. 369]
La lunga tela posta in alto, è un’allegoria della Carità o della Fede. Il suo formato suggerisce che facesse parte di una sorta di fregio destinato a ornare la sommità di una parete. Anche quest’opera, come l’Entrata degli animali nell’arca di Grechetto fu donata da Giacomo Spinola che, a sua volta, ne era venuto in possesso perché appartenente alla moglie, Violantina Balbi.
[Domenico Piola, Salvator Mundi entro una ghirlanda, inv. 368]
L’ultima dipinto di questo gruppo, è opera di un validissimo collaboratore di “casa Piola” specializzato in composizioni floreali. Spesso, secondo una pratica corrente, a Stefano Camogli era affidata l’esecuzione di fiori nei dipinti nei quali il capobottega, Domenico, dipingeva le figure. In questo caso però l’intero dipinto è stato riconosciuto come opera del pennello di Stefano.
[Domenico Piola, Bambino Gesù, inv. 536; Putto visto di spalle, inv. 548; Testa di Vistù, inv. 542]
Ai lati della finestra, potete vedere tre frammenti di affreschi, realizzati sempre da Domenico Piola e provenienti da due chiese ora distrutte.
Quello a sinistra, che raffigura un florido Gesù Bambino e il putto di spalle in alto a destra facevano parte della decorazione commissionata nel 1683 al pittore dalle monache francescane della chiesa di San Leonardo, sulla collina di Carignano, soppressa in epoca napoleonica e parzialmente demolita.
La Testa di Virtù proviene invece da un ciclo di affreschi realizzato intorno al 1653 nella cappella del Santissimo Crocifisso nella chiesa di San Domenico, giuspatronato della famiglia De Marini. Si trattava di una scelta innovativa perché, in quegli anni la maggior parte delle commissioni di questo genere era ancora affidata a Domenico Fiasella.
I due cicli, quindi, costituiscono una piccola traccia della grande attività di frescante di Piola: quest’ultimo ciclo agli albori della carriera, quello di San Leonardo all’apice della fama, quando della sua celebre bottega era già entrato a fare parte anche l’altro protagonista della stagione barocca-rococò, Gregorio De Ferrari.
[Gregorio De Ferrari, Assunta, copia da Correggio, inv. 400bis]
Troviamo Gregorio De Ferrari, al centro della parete accanto, con una copia da uno dei maestri che più influenzarono la sua formazione: Correggio.
Si tratta infatti di uno studio della celeberrima cupola del Duomo di Parma, visitato dal pittore nel 1684 e che risulta impreziosita con una morbida pastosità dei colori tipica della sua produzione.
[Giovanni Battista Gaulli, Gloria di santa Marta, inv. 5]
A sinistra, un bozzetto di Giovanni Battista Gaulli detto il Baciccio, tipico diminutivo genovese del suo nome di battesimo, che lasciò il capoluogo ligure appena diciottenne, dopo che la peste del 1657 lo aveva reso orfano. Si diresse alla volta di Roma, dove venne protetto e incentivato alle arti dal più celebre protagonista della Roma barocca: Gian Lorenzo Bernini.
Questa Gloria di santa Marta, dominata da un vortice dinamicissimo di angeli, putti e panneggi, si riferisce alla cupola della chiesa romana dedicata a questa santa.
La sua vicinanza con la copia da Correggio, rende evidenti i debiti che anche Gaulli, come Gregorio, ha nei confronti del maestro emiliano, il cui sfondamento illusorio dello spazio è reso ancora più spettacolare e pieno di movimento.
[Bartolomeo Biscaino, Sacra Famiglia con uva, inv. 361]
Completa la parete una Sacra Famiglia di Bartolomeo Biscaino, uno dei più stretti seguaci di Valerio Castello, posta di fronte a quella del maestro.
[Giuseppe Rossi, Ritratto del doge Gio. Giacomo Grimaldi, inv. 695]
La storia dell’Accademia è illustrata dal ritratto di uno dei fondatori dell’istituzione, effigiato in abito dogale. Gio. Giacomo Grimaldi, membro di una delle più antiche famiglie genovesi fu tra coloro che nel 1751 diedero vita all’accademia genovese. Il ritrattista del Grimaldi, Giuseppe Rossi, fu tra i primissimi professori della Scuola del nudo.
[Francesco Narice, Ritratto di Giovanni Andrea Monticelli; Ritratto di Giovanetta Lovat Monticelli, inv. 453]
La tradizione ritrattistica genovese prosegue con i due ritratti sulla parete a destra dell’ingresso che raffigurano infatti i genitori di Giovanni Ponticelli, collezionista che nel 1851 donò alla Ligustica opere di notevole interesse.
[Carlo Antonio Tavella, Paesaggio con san Giovanni Battista, inv. 406; Paesaggio con san Francesco in estasi, inv. 406bis; Paesaggio con figure, inv. 410]
I paesaggi che potete ammirare sulla parete di fronte a questa sono opera di un pittore milanese che lavorò prevalentemente a Genova, spesso collaborando quale paesaggista presso altre importanti botteghe, come quella degli eredi Piola.
In essi potete apprezzare l’abilità dell’artista a rendere gli effetti atmosferici soprattutto nel Paesaggio con figure, considerato dalla critica una delle sue prove migliori.
I due ovali, anch’essi di buona fattura, con piccole scene sacre al loro interno, sono stati probabilmente realizzati per la devozione privata.
[Gessi]
La successiva sezione della sala, anticipata dal monumentale Torso del Belvedere, è quasi interamente dedicata a calchi in gesso.
La raccolta di calchi in gesso delle più celebri sculture dell’antichità greco-romana, in particolare, costituiva, fino al XIX secolo, un patrimonio indispensabile per ogni Accademia o Scuola di Belle Arti. Presso la Ligustica la “Sala delle Statue o Gessi” occupava la grande galleria dove i calchi delle più importanti opere dell’antichità classica e quelli dei capolavori della scultura del Quattrocento e Cinquecento (Ghiberti, Civitali, Michelangelo) o del Neoclassicismo (Canova e Thorwaldsen) si allineavano sulle basi in legno o su mensole alle pareti a disposizione degli studenti.
Attualmente quanto rimane della storica Gipsoteca – fortemente depauperata dalle vicissitudini belliche - è custodito nei depositi del museo; la presentazione di un piccolo nucleo di gessi restaurati intende suggerire ai visitatori la ricchezza di un patrimonio che alla fine del XIX secolo raggiunse una consistenza davvero imponente.
Il Torso del Belvedere, rinvenuto all’epoca del papato di Giulio II Della Rovere e oggetto di studio per schiere di artisti, da Michelangelo a Rodin.
La grossa testa ricciuta alla sua destra, calco di un originale del secondo secolo dopo Cristo, entusiasmò Winckelmann che vi riconobbe le fattezze di Alessandro Magno; di fronte lo Spinario è la copia di un bronzo di epoca ellenistica, periodo nel quale venne realizzato anche il gruppo con Amore e Psiche.
Un’altra celeberrima scultura dell’antichità è rappresentata dall’Apoxyomenos di Lisippo, l’atleta che si deterge dopo la lotta, calco di una copia romana, oggi conservata presso i Musei Vaticani.
Il gruppo di lottatori al centro della sala, tratto da un originale conservato agli Uffizi, fu donato all’accademia da Anton Raphael Mengs, uno dei protagonisti del neoclassicismo europeo, il cui Autoritratto avete incontrato all’inizio del percorso.
[Dipinti]
I dipinti esposti alle pareti completano quest’atmosfera da “Accademia”, sono infatti tutti opere di artisti legati a vario titolo a questa istituzione.
Tra i due gessi Il bacio di Giove, opera di Pietro Costa, allievo di Carlo Giuseppe Ratti. Sulla parete di fronte Paride ferito di Felice Vinelli, che diresse la Scuola di Pittura dell’Accademia tra il 1818 e il 1820, Amore e Psiche di Giovanni David, uno dei protagonisti della pittura genovese del Settecento e artista di fiducia della famiglia Durazzo.
Accanto ancora un tema mitologico, Amore che lotta con Pan, nella tela di Giuseppe Galeotti, pittore che diresse sia la Scuola di Pittura che quella del Disegno dal vero.
Infine, ai lati della porta che immette nella sala successiva, Tancredi battezza Clorinda, una piccola tela di Carlo Giuseppe Ratti, con l’episodio culmine della Gerusalemme Liberata, e Il sacrificio di Ifigenia di Alessandro Canepa, opere legate alla cultura accademica e alla sensibilità neoclassica.
Sala 7
La sala è dedicata a ritratti e autoritratti realizzati nell’arco di due secoli da artisti legati, in vari modi, all’Accademia. Superata la ritrattistica ufficiale, è possibile qui cogliere i cambiamenti che sono avvenuti in questo genere durante l’Ottocento, partendo dagli ultimi anni del Settecento e quindi dal Neoclassicismo, passando per il romanticismo e per il verismo ottocentesco fino al Novecento.
Nella serie di ritratti sulla parete di destra, segnaliamo la presenza di due pittrici. Rosa Carrea Bacigalupo, colta figlia del più importante artista neoclassico in Liguria e moglie di uno scultore di rilievo che diresse anche la relativa scuola in ambito accademico, è presente con un Autoritratto ed un ritratto del marito Bartolomeo Carrea raffigurato con scalpello e mazzuolo.
[Antonietta Costa Galera, Autoritratto, inv. 447]
Antonietta Costa Galera, autrice dell’Autoritratto femminile, unica testimonianza pittorica di questa gentildonna, nota per essere stata un personaggio di spicco nella vita culturale cittadina.
A sinistra l’Autoritratto di Angelo Giacinto Banchero, formatosi a Roma presso Pompeo Batoni
[Giuseppe Isola, Autoritratto, inv. 457]
Sul pannello di fronte, a destra dell’accesso alla sala successiva, una coppia di opere realizzate da due protagonisti della vita accademica ottocentesca:
Giuseppe Isola, presente con un Autoritratto, fu un profondo sostenitore del romanticismo storico, molto amato negli ambienti ufficiali. Venne nominato pittore storico onorario da Carlo Alberto di Savoia, fu professore all’Accademia e primo conservatore delle Gallerie Civiche di Palazzo Rosso e Bianco.
[Francesco Gandolfi, Ritratto di Raffaele Granara, inv. 35]
Sopra, Francesco Gandolfi con un ritratto del collega Raffaele Granara, che fu professore di incisione. Più svincolato dagli schemi accademici, Gandolfi è noto anche per aver promosso insieme ad altri pittori la scuola di paesaggio dal vero, dimostrando quindi un’acuta attenzione verso le correnti più innovative che si stavano sviluppando in Europa.
[Sante Bertelli, Ritratto di Francesco Gandolfi, inv. 376]
Sul pannello di sinistra, un ritratto di Francesco Gandolfi, realizzato da Sante Bertelli su commissione dei suoi amici un anno dopo la sua scomparsa. Sante Bertelli fu allievo di Isola, di cui superò gli insegnamenti accademici per avvicinarsi alla pittura verista.
[Gabriele Castagnola, Autoritratto, inv. 364]
Sopra un Autoritratto di Gabriele Castagnola, noto per i suoi quadri di storia e per la sua attività di illustratore per alcune riviste di orientamento repubblicano. Il pittore si raffigura con un sigaro in bocca, con un piglio verista che dà vita ad un’immagine fresca e immediata.
[Giovanni Quinzio, Autoritratto, inv. 758]
A sinistra, altre due figure di spicco dell’Ottocento non solo in ambito accademico ma anche nella vita culturale cittadina.
In alto, Giovanni Quinzio che affiancò alla sua attività di professore presso la Ligustica a quella di direttore dei Musei Civici. Questo Autoritratto in età molto avanzata sfaldato ed evanescente nella pennellata, restituisce l’interiorità dell’anziano maestro.
[Giuseppe Pennasilico, Autoritratto, inv. 690]
nella zona inferiore troviamo l’autoritratto di Giuseppe Pennasilico, esponente della nuova generazione di pittori, coloro che scavalcarono l’Ottocento per entrare a pieno titolo nel Novecento.
Napoletano di origine e di formazione – studiò con Domenico Morelli – si stabilì a Genova. L’Autoritratto qui esposto, donato alla sua morte dagli eredi nel 1940, mostra le caratteristiche proprie della sua pittura: alla componente verista si aggiunge un amore per i colori vivaci che rendono piacevole e immediata l’effigie di questo giovane fumatore barbuto, immerso nel verde.
Sala 8
La sala seguente è divisa in due parti: quella a destra è dedicata all’Ottocento e propone un allestimento scenografico che rievoca l’atmosfera che si poteva respirare tra le aule dell’Accademia, tra esercizio, studio dell’antico e dell’anatomia.
Il ruolo delle accademie in questo secolo fu basilare e benché, dopo la metà del secolo, gli artisti si svincolarono gradualmente da esse fino ad arrivare a un netto rifiuto nei confronti del conformismo, le accademia furono comunque il luogo in cui quegli stessi artisti si formarono ed entrarono in contatto con l’arte del passato.
[Scenografia]
E proprio l’antico è l’elemento ricorrente in questa affollata scenografia in cui sono disposte apparentemente alla rinfusa alcune sculture originali, disegni, incisioni e attrezzi del fare artistico.
Si segnalano due marmi, il Torso di satiro e la Testa d’imperatore. Entrambi vennero donati all’Accademia da Marcello Durazzo, figura fondamentale nella vita dell’istituzione nella prima metà del secolo e principale artefice della costituzione delle collezioni artistiche della stessa. Il torso risale alla metà del II secolo dopo Cristo, mentre la testa, ritenuta un antico ritratto dell’imperatore Vitellio, si è rivelata una copia seicentesca.
Anche i disegni, le incisioni e i calchi in gesso sono opere di artisti ottocenteschi che si formarono qui in Accademia. Tutte le prove d’esame che pittori e scultori realizzavano nell’ ambito della scuola sono entrate a far parte del patrimonio dell’Accademia, formato non solo dalle donazioni di colti mecenati, ma anche di quanto veniva prodotto dagli allievi.
Le grandi tele esposte in questa sala, esemplari dell’indirizzo storicista e accademico sostenuto da Giuseppe Isola, affrontano soggetti di carattere storico o biblico. Si tratta di dipinti di Luigi Sciallero, Il buon Samaritano, Virginio Grana, David e Micol, Luigi Castagnola, Bianca Cappello, presentati alle Esposizioni delle Promotrici genovesi, e acquisiti dal Ministero dell’Istruzione Pubblica che ne fece dono all’Accademia.
[Luigi Garibbo, Parata militare alle Cascine, inv. 423]
A destra dell’ingresso, si può ammirare un dipinto di Luigi Garibbo, artista che si specializzò nella produzione di vedute ad acquerello e a olio, spesso tradotte in incisione. Il dipinto rappresenta la parata militare avvenuta a Firenze nel 1859, durante la quale venne consegnata la prima bandiera italiana. Fu un episodio di rilievo per il Risorgimento italiano e per il percorso di unificazione del paese che portò poi a scegliere proprio Firenze quale prima capitale dell’Italia unita.
Esposto alla Promotrice del 1863, il dipinto fu acquistato con una sottoscrizione da colleghi e amici di Garibbo che ne fecero dono all’Accademia.
Un cenno infine meritano i due busti, collocati nelle nicchie: il primo, opera di Santo Varni, tra i massimi esponenti della plastica ottocentesca nonchè poliedrico intellettuale, conoscitore e collezionista, rappresenta Federico Peschiera, pittore dalla vita avventurosa e tragica.
L’altro rappresenta il più importante scultore neoclassico genovese, Niccolò Traverso, e fu eseguito dal migliore dei suoi allievi, Giuseppe Gaggini, ultimo esponente della poetica neoclassica, quale traduzione in marmo di un autoritratto in terracotta.
Sala 9
[Tammar Luxoro, Veduta del Golfo di La Spezia, inv. 583; Serafin De Avendaño, Lungo la Bormida, inv. 616; Alfredo D’Andrade, Ritorno dai boschi al tramonto, inv. 580; Rayper, Nel bosco , Lavandaie
Le opere della penultima sala rendono evidente la contrapposizione all’indirizzo accademico ufficiale, culminata con l’apertura della “Scuola di Paesaggio dal vero” istituita nel 1874 da Tammar Luxoro che in Accademia portò avanti una battaglia a favore della pittura en plein air, di ascendenza macchiaiola.
Il rinnovamento è illustrato dai paesaggi dello stesso Luxoro, di Rayper, D’Andrade, De Avendano: Il Golfo della Spezia, Lungo la Bormida, Ritorno dai boschi al tramonto, grandi tele dalle cornici monumentali. Spicca, anche per le dimensioni, Nel bosco di Rayper, pittore e incisore locale, tra i capiscuola nel rinnovamento della pittura di paesaggio, che fece parte del cenacolo dei pittori della scuola di Rivara, con i quali condivise lo studio dal vero sulla luce e sulle forme della natura.
L’atmosfera macchiaiola emerge nelle opere del napoletano Giuseppe Abbati, La stalla e del veronese Vincenzo cabianca, Chiostro di San Zeno a Verona
[Giovanni Scanzi, L’orfanella, inv. 918; Bambina con canestro di frutta, inv. 917]
Due sculture in marmo e bronzo, Bambina con canestro di frutta e l’orfanella, sono opera di Giovanni Scanzi, professore di scultura in Accademia e protagonista assoluto del cosiddetto “Realismo borghese”. Questo filone scultoreo, che poneva il realismo al servizio della celebrazione della nuova classe dirigente, la borghesia, trovò nel cimitero monumentale di Staglieno la sua massima rappresentazione.
Sala 10
La visita al museo termina con la sala dedicata alla generosa donazione di Max e Valeria Oberti, che comprende opere di artisti attivi in Liguria nel primo Novecento: Discovolo, Peluzzi, Sacheri, Saccorotti...
[Rubaldo Merello]
La parete di destra è interamente dedicata a Rubaldo Merello, artista originario della provincia di Sondrio ma cresciuto a Genova dove studiò e frequentò l’Accademia. Si dedicò sia alla pittura che alla scultura. Per un periodo fu molto vicino ai divisionisti, a Plinio Nomellini in particolare, ma poi trovò una sua personale espressione negli anni del ritiro tra Ruta di Camogli e Portofino.
Per questa esistenza di totale isolamento e per la sua poetica fatta di colori accesi ed esasperati, la critica lo ha accostato ai grandi “isolati” europei, Munch e Bonnard.
Merello affrontò nella sua carriera pittorica quasi un unico soggetto: la costa e il monte di Portofino, ovvero il paesaggio che lo attorniava e di cui era prigioniero volontario, espresso solo tramite colori saturi ed eccessivamente vivaci.
In Sole primaverile, si può riconoscere Villa Altachiara a Portofino, una delle più suggestive ville a strapiombo sul mare, sulla quale aleggia un’antica maledizione, legata alla scoperta della Tomba di Tutankhamon da parte di Lord Karnavon, committente della villa.
[Giuseppe Cominetti]
Di fronte le opere di un artista coevo, ma dal carattere completamente diverso, Giuseppe Cominetti, che, al contrario dell’isolato collega, frequentò gli ambienti culturali più all’avanguardia, dal divisionismo, al simbolismo, giungendo ad abbracciare per un breve periodo anche il futurismo.
Conobbe tutti gli artisti più celebri dell’epoca, da Nomellini, a Modigliani, a Filippo Tommaso Marinetti; aprì uno studio a Parigi, dove lavorò anche come critico d’arte.
In pittura aderì al divisionismo, come è evidente dalle opere qui esposte, realizzate proprio a Parigi nel 1916 e destinate a decorare una stanza di bimbi dell’alta borghesia parigina.
Plino Nomellini
Sulla parete di fondo spiccano due straordinarie opere di Plinio Nomellini, il bozzetto per la grande tela raffigurante La partenza dallo scoglio di Quarto, conservata alla pinacoteca Giannoni di Novara, e La mietitura, che testimoniano il fondamentale contributo dell’artista toscano alle vicende artistiche del primo Novecento ligure.
[Eugenio Baroni; Edoardo Alfieri]
Alcune sculture esposte nella sala documentano gli orientamenti della statuaria coeva: il modello in gesso del cacciatore, statico ma carico di energia e di tensione, è lo studio per uno degli atleti che Eugenio Baroni aveva realizzato per lo Stadio del Tennis nel Foro Italico di Roma, voluto da Mussolini nel 1932;
Gli altri due gruppi in bronzo Monumento a Mameli e Caino e Abele, sono invece opera di Edoardo Alfieri, artista in biblico tra avanguardia, tradizione e movimento informale che ridusse a pura idea le sue figure. Queste, pur riconoscibili come in Caino e Abele, si mostrano svuotate di qualunque debito alla realtà.
La visita al Museo dell’Accademia è terminata. Vi ringraziamo per la vostra attenzione e vi preghiamo di riconsegnare l’audioguida presso la biglietteria.
[Il Palazzo, testo del depliant]
Per chi fosse interessato, è possibile ascoltare alcune informazioni sul Palazzo in cui vi trovate, sede dell’Accademia, e sulle opere esposte lungo lo scalone.
L’edificio che ospita il Museo fu costruito su progetto dell’architetto civico Carlo Barabino sull’area un tempo occupata dal convento adiacente alla già citata chiesa di San Domenico.
Il severo prospetto neoclassico dell’edificio, terminato nel 1831, doveva accordarsi con le linee dell’adiacente Teatro dell’Opera, realizzato dallo stesso architetto alcuni anni prima.
La maestosità dello scalone, dominato dal monumentale pozzo centrale intorno al quale si snodano ardite rampe a sbalzo, è oggi attenuata dalla demolizione della cosiddetta “Rotonda”, una grande sala ottagonale che in origine era collegata visivamente allo scalone da un’ampia apertura ad arco.
Dell’apparato decorativo di questo salone si conservano, nei depositi del Museo, numerosi frammenti del fregio in stucco che correva sotto l’imposta della cupola emisferica. Realizzato nel 1836 da Santo Varni su progetto di Giuseppe Gaggini, entrambi scultori che avete conosciuto in Museo, il rilievo celebrava il Trionfo del console romano Marco Claudio Marcello, conquistatore di Siracura nel 212 a.C.
Nelle nicchie dell’atrio ottagonale sono oggi collocate quattro sculture in marmo che raffigurano altrettanti ritratti immaginari di grandi artisti genovesi: Luca Cambiaso, Filippo Parodi, Bernardo Strozzi e Bernardo Schiaffino; le prime due sono opere di Luigi Orengo (1935), le altre di Guido Galletti (1939).
La nicchia posta alla sommità della prima rampa di scale accoglie una statua di Santa Caterina d’Alessandria, proveniente dalla cinquecentesca porta dell’Acquasola demolita nel 1837. La statua, forse iniziata da Guglielmo Della Porta, fu completata dalla bottega del padre Gian Giacomo entro il 1538.
Nelle due nicchie poste in capo alle successive rampe di scale, potete ammirare altre due statue cinquecentesche – i Santi Giacomo e Filippo – provenienti dall’omonima chiesa genovese, mentre sul ballatoio è collocato il Busto del pittore Nicolò Barabino di Antonio Allegretti (1894).
Da San Domenico provengono, infine, le imponenti colonne monolitiche della loggia al secondo piano; mentre nelle quattro nicchie che ne articolano le pareti sono collocati i busti di altri artisti legati all’Accademia: Carlo Barabino di Giovanni Battista Cevasco (1844), Ernesto Rayper di Giulio Monteverde (1874), Pietro Resasco di Agostino Allegro (1874) e Raffaele Granara di Vittorio Lavezzari (1885).
Translation - Italian The Accademia Ligustica of Fine Arts was established in 1751 by a group of artists and aristocrats from the historical and most illustrious Genoese families, gathered around the Marquis Francesco D’Oria, while the foundation of its art gallery goes back to the beginning of the XIX century, thanks to the Marquis Marcello Luigi Durazzo, curator of the academy between 1823 and 1848.
Thanks to inheritances, donations and purchases throughout the 1800 until the first half of the XX century, the artistic heritage of the institute grew, with paintings, drawings, prints, plaster works, sculptures, sketches and antique furniture, that visitors can admire today.
Thousands of drawings, woodcuts, etchings and lithographs are kept in the museum’s archives, together with the Giustiniani’s Gallery’s moulds from the 16th century.
Room 1
In the entry hall, you’ll see various Portraits of Genoese painters by Carlo Giuseppe Ratti, together with the amazing Portrait of Paolo Gerolamo Grimaldi by the Spanish painter Francisco Xavier dos Ramos.
Ratti was head of the academy during the second half of the 18th century, and a famous historian too, thanks to his “First artistic guide to the city of Genoa”, published in 1766, while Grimaldi was one of the greatest protector of the arts in Genoa, in those same years.
Room 2
In this short corridor you can admire Anton Raphael Mengs’ Self-portrait. He was one of the protagonists of the Italian Neoclassicism, and one of Ratti’s closest friends.
The Stele for the fallen of the Aigaleos, the Greek mountain from which Xerxes observed the Battle of Salamis, stands in front of Mengs’ portrait.
It is a copy of the marble one in Rome, at Villa Albani, above which Mengs painted his Parnassus’ fresco.
Room 3
The downright chronological itinerary begins beyond the glass doors.
At your left, you can see three little panel paintings.
The one above, the Angel in an Arch, is the most ancient one and a unique example of a late 13th century’s painted wooden ceiling from San Siro’s church in Sanremo.
[scuola ligure-piemontese, Angel in an Arch inv. 265]
[Cretan-Venetian painting, inv. 74]
The Virgin with child on the left corresponds to the iconography of the Virgin Saviour of souls, a depiction that spread in Macedonia during the XIV century.
The panel probably comes from the Benedictine monastery in the Genoese area of Quarto.
It shows the features of the Cretan-Venetian painting, especially in the abstract way the monochrome background was painted, to intensify the idea of sacredness.
[Nicolò da Voltri, Five Apostles, inv. 73]
The wooden panel which portraits the five Apostles is what’s left of a polyptych’s dais, again from the Benedictine monastery of Genova Quarto.
Its painter is thought to be Nicolò from Voltri, one of the very few known medieval painters from this region, and it has been dated back to the end of the XIV century.
This painter’s ability emerges through his use of the Sienese painters’ techniques and the Emilians’ use of bright colours as well as in his stamped haloes and the elegant bearings which recall the Modenese illumination.
[Francesco d’Oberto, Virgin with child with Saint Dominic and Saint John the Evangelist, inv. 84]
This pointed lunette, from Saint Dominic’s church, represents the Virgin with child between Saint Dominic and John the Evangelist.
The first one, recognisable from his cloth, is holding a book, the symbol of his doctrine, while he shows a lily, symbol of pureness, in his right hand.
On the left bottom corner we can spot two Dominican friars, representation of the purchasers, who were the Dominican friars of the monastery that was demolished to build the Opera Theatre Carlo Felice in the early XIX century.
On the other side a young Saint John is writing the Gospel. At his right, Francesco d’Oberto wrote his name in gothic style. This painter’s life is still a mystery.
[Donato de’ Bardi, Saints Catherine, John the Evangelist, John the Baptist and Abbot Benedict, inv. 67]
The wooden panel with the four saints, on the right, is a reassembly of four different panels from the same polyptych.
From the left, the first one is Saint Catherine of Alexandria, depicted in royal garments and holding a sword and the palm of martyrdom. Right beside her there’s Saint John the Evangelist with the Gospel. Next to him we find Saint John the Baptist, dressed with clothes of camel’s hair and, on his left, stands Saint Benedict of Norcia.
All these figures, refined examples of the European gothic style, were painted by Donato de’ Bardi, the most important painter in Liguria in the 15th century.
Born in Pavia, he was one of the protagonists and witnesses of the artistic vitality in Liguria, where the gothic tradition from Milan, where the building site of the Cathedral was gathering artists from all over Europe, met the Flemish techniques of Van Eyck’s style.
[Nicolò Corso, Saints Sebastian and Augustin and Saints Eusebius and Agnes, invv. 68-69]
In the following section, on the right, we find two wooden panels of mixtilinear contour, representing two couples of saints.
Originally, they were parts of the polyptych from the Benedictine monastery of Genova Quarto. The central panel, which portrays Saint Jerome on the Throne, can be found at the Philadelphia Museum of Art in the USA.
Over Saint Sebastian’s head on the left and Saint Agnes on the right, you can see the false arches in which the figures were framed and that located the landscape behind them.
It was painted at the end of the 15th century, therefore the golden background that characterised the previous paintings, now gives space to more realistic landscapes, according to the Flemish tradition.
The painting is also enhanced by golden graphic and material embellishments, according to Vincenzo Foppa’s lombard technique.
We know that the painter, Nicolò Lombardoccio, called “the Corsican”, was educated in both tendencies, the new lombard one and the Flemish one, to which he added a feeble detachment and austerity, to give elegance and sacredness. Just like the glassy-eyed Saint Agnes and Saint Eusebius, or Saint Sebastian’s lost away look, while Saint Augustin seems almost vacant.
[Manfredino Boxilio, Saint James’ Polyptych, inv. 79]
There’s a great polyptych on the left wall, sadly incomplete, that was taken from the city of Gavi, in southern Piedmont.
At the bottom of the lower central panel there’s an inscription in gothic style, which indicates 1478 as the date of realisation, together with the name of the purchasers, Antonio Guasco, Lord of Gavi, and the whole community, as well as its author, Manfredino Boxilio.
On the lowest panel, the dais, we can see Jesus Christ and the twelve apostles, painted inside roundels.
On the central row of panels we find Saint John the Evangelist, first on the left, who’s writing the Gospel, then Saint John the Baptist, with a lamb, symbol of sacrifice, and a phylactery, on which is written “ECCE AGNUS DEI” “Lamb of God”.
In the middle of the polyptych stands Saint James, who spread the Christian religion throughout the Iberian peninsula. He was John the Evangelist’s brother.
Saint James, being a wondering preacher, was depicted with his usual characteristics: his pastoral staff, a book, symbol of the preaching of the Gospel, and a shell, symbol of pureness, renaissance and pilgrimage, on his hat.
Shells were also useful to pilgrims, who ate scallops along the coast of Finis Terrae, and used their cases to draw water from springs.
Next to Saint James stands Saint Peter, holding the key, and Saint Lawrence, in his deacon’s garments, holding the gridiron, symbol of his martyrdom.
The highest row of panels is centred on the Virgin with child on a throne, with Saint Francis and Saint Peter martyr on her right, the first one holding the Cross in his monk habit, while the other, a Dominican friar from Verona, is holding the palm of martyrdom, with a knife stuck into his head.
The panel on Mary’s left comes from Palazzo Bianco’s public collection, and it depicts Saint Stephen Martyr.
On the lateral panels, from the bottom to the top, we find Saint Bernard, Saint Sebastian, Saint George and the Archangel Gabriel on our left and Saint Julian, Saint Anthony Abbot, Saint Catherine of Alexandria and the Virgin Annunciate on our right, while a tiny crucifixion stands at the top of the polyptych.
[Perin del Vaga, Liguria’s Allegory, Vigilance’s Allegory, inv. 62]
The wall on your right is thoroughly dedicated to the painter who brought Renaissance to Genoa, Pietro Buonaccorsi, known as Perin del Vaga.
Born in Florence, he worked in Rome with Raffaello, then came in Liguria in 1527, when Andrea Doria asked him to paint his suburban palace, today known as “The Prince Palace”.
The two monochrome paintings are preparatory studies on paper, later glued on canvas, that were used in painters’ workshops to copy the master’s work on frescoes and paintings.
They could be used more than once, therefore it is not unusual to find the same figures in different paintings, lots of them often from the Renaissance period.
According to critics, they were preparatory studies for tapestry that should have been placed in between windows.
[Perin del Vaga, Saint Erasmus’s polyptych, inv. 53]
Next to the Allegories, there’s Saint Erasmus’ polyptych, painted by Perin del Vaga, taken from the oratory of the same name in Genova Quinto.
The Academy bought the panels in 1870, but the purchase arouse critics, therefore the institute asked Giovanni Quinzio, headmaster of the art school, to paint a copy to replace the original.
The lunette portrays the Virgin with child between Saint Clare of Assisi and Saint Nicholas of Bari, in his bishop garments, holding three golden balls, which represent the dowries he gave to three sisters forced to prostitute by poverty.
These three figures draw the viewer’s attention onto the saints below: Saint Peter with the keys, Saint Erasmus Bishop and Saint Paul, who’s holding the sword symbol of both his martyrdom and his noble origins.
As their bearing is more static, they were probably painted with the help of the assistants, according to the working ways introduced by Raffaello to cope with the copious assignments he was given.
The dais, originally made by three panels, was painted by an assistant, and it portrays Saint Erasmus’ Miracle and Saint Peter’s Calling. Both of them are marine scenes, to remind us that Saint Erasmus is also the Sailors’ protector.
[Antonio Semino, Removal from the cross inv. 54]
This is the last section of Room 3.
On your right, you’ll find a Removal from the cross by Antonio Semino, originally placed in Saint Dominic’s church.
This painting was realised a few years after Perin del Vaga came to Genoa, where different tendencies of the 16th century coexisted, from the roman Renaissance trend, to the lombard-flemish one that characterised the previous generation of painters.
The figures in this painting are portrayed according to the lombard techniques, while the detailed landscape recalls the flemish sceneries which Genoese painters were used to.
Room 4
In the next section you’ll find paintings from the 16th century until the beginning of the 17th, realised by two well known artists: Luca Cambiaso and Bernardo Strozzi.
[Giovanni Cambiaso, Laying woman with putti, inv. 663]
Right above the entrance you’ll see a painting by Luca’s father, Giovanni Cambiaso. It is a fragment of a fresco, later glued on canvas, that belonged to a complex decoration, painted in 1547, in a palace that was demolished when Via Carlo Felice, now Via XXV Aprile, was built.
Other fragments can be found in the Museum of Palazzo Bianco.
[Luca Cambiaso, Caifa questions Jesus, inv. 66]
The wall on your left is thoroughly dedicated to Luca Cambiaso, the greatest Genoese painter of the 16th century, who ruled the scene together with Bergamasco and the stucco worker Marcello Sparzo. Their partnership characterised the main building sites in the late Genoese Renaissance.
The first painting is one of his most famous “nocturnal”, which he painted in his maturity, after having studied, experienced and reinterpreted every technique, from Michelangelo to Correggio.
At old age, the artist painted using the original technique of the candle light, giving his works a tragic and spiritual hint.
The scene portrays Jesus Christ being questioned by Caifa, the minister, about his divine nature.
The worried look on the priest’s face and Jesus’ resignation are this portrait’s focal points, which are emphasised by the light of two candles.
This artwork once belonged to Vincenzo Giustiniani’s private gallery.
[Luca Cambiaso, Rest while escaping in Egypt, inv. 55]
The following painting was given to the institute by Marcello Durazzo, a personality in the Genoese cultural community of the late 18th century.
Critics date it back to five years before “Caifa questions Jesus”. There’s a lot of difference between the two, as here we have a greater range of colours, while all the characters look at a blessing Jesus Child.
This painting shows all the studies he made on Correggio’s art, while adding his personal technique in portraying his figures, who seem more solid and real than his master’s.
[Luca Cambiaso, Holy Family with angel and donor, inv. 56; Deposition from the cross, inv. 65; Virgin with Child, inv. 59]
The following three paintings deal, again, with religious matters.
The Virgin with child was particularly appreciated, and this led to the spreading of various copies. One of them ended up at the Uffizi’s in Florence.
[Bernardo Castello, Virgin with child and saints, inv. 420]
On your right, you’ll see a painting by one of Cambiaso’s apprentice, Bernardo Castello.
Even if he was later outshined by his son, he’s still seen as one of the most relevant painters in the transition from the 16th to the 17th century.
He was also well-read, and a friend of the poet Torquato Tasso, for whom he illustrated the first two editions of the “Jerusalem Delivered”.
The Virgin with child being honoured by a young Saint John, is one of his most recurring themes. On their right we can see Saint Mark, holding his Gospel, next to the lion, while on the left we spot a female figure, probably Saint Brigid.
[Bernardo Strozzi, Saint Dominic’s vision, inv. 382; John the Baptist’s head, inv. 534]
This section is almost entirely dedicated to Bernardo Strozzi, also known as “the Capuchin”.
His first artwork on the left is a great sketch, portraying Saint Dominic’s vision, for a more complex decoration on the choir’s vault in Saint Dominic’s church, that was demolished to build the Carlo Felice Opera Theatre.
Above, there’s Jesus, who’s about to shoot three arrows to three capital vices: pride, greed and lust, while Mary indicates two just men: Saint Dominic and Saint Francis.
Among the other saints we spot Saint John the Baptist, on the right, holding a cross, Saint George in his armour, barely outlined, on the left bottom, and Saint Lawrence, with the gridiron.
Next to this artwork there’s the only fragment left of a fresco, portraying John the Baptist’s head. This painting is seen as one of Strozzi’s best attempts, in which he merges Barocci’s Mannerism and Parmigianino’s Emilian trend with Tintoretto’s techniques and Rubens’ chromatic vividness.
Other paintings on religious matters are exposed in this room, such as Young Saint John, the Mourning for Christ’s Death and the Parable of the Wedding Guest.
[Bernardo Strozzi, Parable of the Wedding Guest, inv. 384]
This is one of the sketches that Strozzi painted for a greater work that was originally part of the Venetian Incurables’ Hospital’s wooden ceiling.
In 1630 Strozzi escaped from Genoa because his fellows Capuchin brothers wanted him to stop his activity as a painter.
In the oval it is depicted the parable of the wedding guest, who went to a wedding feast inappropriately dressed, and therefore was ordered to be “thrown into darkness, where there’s only tears and teeth shrieking, for many are the called ones, but few the chosen”.
Its meaning, having been painted in a hospital, was to always be ready for God’s call.
There’s another sketch, at the Uffizi’s, where the attention is more focused on architecture, rather than on the characters’ disposition and relations.
This painting was given to the Institute by Giacomo Spinola, once owner of the Spinolas’ Palace, where the Spinolas’ Palace National Gallery is kept today.
[Bernardo Strozzi, Saint Augustin washes Pilgrim Jesus’ feet inv. 380bis]
Next to an altarpiece there’s Saint Augustin washes Pilgrim Jesus’ feet, taken from Saint Augustin’s church, today deconsecrated and museum of the same name.
This painting depicts a legend, according to which the Saint left his hermitage and went back to preaching after he had a vision of Jesus dressed as a pilgrim.
The painting’s focal points are Jesus, with his walking steak and cloak, and Saint Augustin, who’s been depicted in a moment of shock, that is reflected by both gesture and expression.
Chromatic research is not predominant, in this artwork, which has a refined tone, particularly in the choice of painting a column in the middle of the the scene, in contrast with the angel’s wings.
In such a balanced painting, critics saw a comeback of the Tuscan school, maybe because, in those same years, Orazio Gentileschi left some of his artworks in Genoa, characterised by a technique similar to Caravaggio, but more refined.
In front of Saint Augustin, it is exposed a Rosary Virgin Mary by Giovanni Battista Paggi, dated back to 1615.
Painting had always been Paggi’s vocation, but he wasn’t allowed to become a painter’s apprentice because of his noble origins, therefore he was self-taught.
His skill was noticed by a noblemen, who wanted to buy a painting that Paggi wanted to give him free. They ended up fighting on the price and the painter accidentally killed the other man, so he escaped to the Grand Duchy of Tuscany and lived there for a few years. Later he was called back to Genoa by the prince and publicly pardoned.
He led an eventful life and many great artists had been his apprentices, like “Il Grechetto”.
This altarpiece is one of his late works and deals with a recurrent theme, where the Virgin Mary is surrounded by fifteen mysteries of the Rosary.
This unique worship of Mary will lead to her coronation as Queen of Genova in 1637.
[Domenico Fiasella, Virgin with Child, Saint George, Saint Bernard and young Saint John, inv. 409]
This last section of the room shows paintings by artists of the same generation, they have all been realised in the first half of the 17th century.
In this period nobles’ residences and churches were filled with paintings that were the artists’ personal and different answers to Caravaggio’s art.
Of all the artists of this period, Domenico Fiasella, author of the two paintings hung one in front of the other at the end of this section, is considered the closest to Caravaggio’s art.
[Domenico Fiasella, Meleager’s death, inv. 354]
This painting, focused on Meleager, on of the Argonauts, was probably realised when the artist came back from Rome.
Concluded his apprenticeship at Paggi’s workshop, Fiasella saw and got in touch with all those painters that were following Caravaggio’s lessons.
The diagonal formed by the dying hero and the other figures, included Atlanta, the hero’s loved one, clearly recalls some of Caravaggio’s roman artworks.
Luca Saltarello, author of this Deposition, was one of Domenico Fiasella’s apprentices.
He’s not widely known, as he died when he was only 30, and just a few paintings were recognised as his by the critics.
This artwork was given to the Museum by the Genoese businessman Riccardo Garrone in 2003, and it makes regret its painter’s early death, for he could have become a great one.
[Luciano Borzone, Assumption, inv. 7]
This painting, once thought to be one of Guido Reni’s studies before painting his altarpiece in Jesus’ Church in 1617, turned out to be a study by a young Luciano Borzone, on that same altarpiece.
Borzone was a fine intellectual, friend of artists and poets, and a close friend of Carlo Doria’s, for whom he was also a mediator between him and some Milanese painters.
Sadly, he died at 55 because of a fall from a scaffolding, while he was completing a painting in a Church.
[Gioacchino Assereto, Saint Bartholomew’s martyrdom, inv. 379bis]
In front of Borzone’s Assumption there’s Assereto’s Saint Bartholomew’s martyrdom. Gioacchino Assereto had been both Borzone and Ansaldo’s apprentice.
According to legends, Bartholomew was skinned alive after he went to preach in Armenia.
These tragic and gory themes were much appreciated in the Baroque period, and Assereto expressed Bartholomew’s tragedy well, painting the martyr on the center of the canvas, surrounded by his executioners, while an angel is ready to welcome his soul.
Room 5
[Ceramics]
Some of the finest ceramics from the 16th century are shown in the cabinet in the centre of Room 5; all of them come from the west of the region, where the ceramic tradition has kept going on for centuries.
Among these “white and blue” products with baroque scenes, it is worth noting the square saucer, on which it is depicted a scene from the 15th canto of the poem “Jerusalem Delivered”.
Fate, on a boat, takes two knights onboard, as they were ordered by Goffredo di Buglione to free the paladin Renaud from the isle where he was kept charmed by the sorceress Armida.
[Giovanni Andrea De Ferrari, Jacob’s Family, inv. 411]
The first section of the room is dedicated to Giovanni Andrea De Ferrari, who’s considered an imitator of the early 16th century’s late-mannerism as well as the founder and mentor of the new generation of baroque painters.
With the painting on the left of the entrance, Jacob’s Family, he turned to biblical themes, and the connection between figures and still life will be inspiring for his apprentice Grechetto, who will then expand it.
[Giovanni Andrea De Ferrari, Esau and Jacob, inv. 360]
The first painting on the opposite wall depicts another scene from the Old Testament, the selling of primogeniture, where Esau, Isaac and Rebecca first-born, shakes hands with his brother Jacob, after having exchanged his first-born rights for a meal.
[Giovanni Andrea De Ferrari, Noah’s inebriation, inv. 383]
The third painting depicts a scene from the Genesis: Noah is drunk and lying on the ground, with bare legs, while his three sons are standing in front of him, in different attitudes.
Cam, his first-born, is on the left, mocking him, and for this his progeny will be damned, while Sem and Iafet are helping and covering him, and for this they’ll have their father blessing.
[Giovanni Andrea De Ferrari, A Saint revives a fallen bricklayer, inv. 356]
On the right there’s one of De Ferrari’s greatest artworks, A Saint revives a fallen bricklayer.
This altarpiece comes from San Benigno’s Church, one of the oldest abbeys of this region, and that doesn’t exist anymore.
Critics aren’t sure about the identity of the Saint, maybe Saint Placid or Saint Maur, two Benedictine miracle workers, even if it’s very similar to Rubens’ Saint Ignatius Miracle, painted for Jesus’ Church in Genoa.
De Ferrari’s realism is at his peak, thanks to his studies on Caravaggio and Velazquez’s techniques, that he reinterpreted.
[Orazio De Ferrari, Saint Augustin washes Pilgrim Jesus’ feet, inv. 367]
In the second section, from the left, we find a painting by Orazio De Ferrari, which depicts a scene we have already found, Saint Augustin washes Pilgrim Jesus’ feet.
Making a comparison, we can notice how, apart from a few similarities like the cloth that rolls the column, Orazio’s painting shows a deeper naturalism and intimacy.
The latin words that Jesus is saying are those reported in Nicolaus Crusenius’ Monasticon Augustinianum.
The painting next to De Ferrari’s Saint Augustin was realised by his apprentice Bernardo Carbone, well know for his activity as a portraitist, but who we see here with an artwork on a religious episode. We can also highlight how much his technique owes to Van Dick’s art.
[Vincent Malò, Magi’s Adoration, inv. 7; Jesus and the Samaritan at the well inv. 7]
On the right bottom, you can spot two little artworks on copper, by a French artist, active in Genoa, and who owes a lot to Rubens’ techniques.
[Antonio Travi, Landscape with figures, inv. 373]
Above the copper artworks there’s a painting of an artist who was much appreciated in those times, using a technique similar to the Flemish.
[Giovanni Benedetto Castiglione “il Grechetto”, Animals enter the Ark, inv. 412]
On the opposite wall stand two paintings by one of the most famous Genoese painters, Giovanni Benedetto Castiglione, known as “Il Grechetto”.
He had been both Paggi and De Ferrari’s apprentice, then he went to Rome and became famous in the capital.
His name reached all the greatest Italian courts, and he later ended in Mantua and became the Gonzaga’s painter.
His peculiarity is nature, animals and pottery predominance over the main themes. This technique is clear in his Animals enter the Ark, where Noah is in the background, while animals and dishes dominate the scene.
[Giovanni Benedetto Castiglione “il Grechetto”, Jacob and Laban’s Idols, inv. 455]
Jacob and Laban’s Idols is even a greater artwork than Animals enter the Ark. It is again a biblical scene, that Grechetto painted in his maturity, with bright tones and high-saturated colours, in contrast with one another, painted with a complex and refined technique inspired by both Venetian and Rubens’ art.
[Pellegro Piola, Rosary Virgin Mary between Saint Dominic and Saint Catherine, inv. 372]
The last two paintings are unique testimonies of Pellegro Piola’s activity, Domenico Piola’s unlucky older brother, who died at 23 in a fight.
The first one is a banner commissioned by the brotherhood of the Rosary Virgin Mary, from Saint Dominic’s Church.
It is painted on damask, on both sides, which show the same iconography, the Virgin with Child between Saint Dominic and Saint Catherine, but while on the first side that people saw there’s Mary who’s giving a rosary to Saint Dominic while the Child points it to Saint Catherine, on the other, Mary is encouraging the two saints to spread the prayer beads, looking at the audience, inducing Saint Dominic to show the rosary he’s holding.
On both sides, two putti are holding a crown above Mary’s head, which means that it has been painted after 1637, when she was crowned Queen of Genoa.
With this escamotage Genoa wasn’t a Republic anymore, but a reign under Mary’s sovereignty, and in this way the city solved a problem created by a papal bull, according to which monarchies had more importance in ceremonials.
[Pellegro Piola, Virgin with Child, young Saint John Saint Eligius Bishop, deposito]
This scene was painted on slate, a type of stone typical of this region. It was once part of a votive recess on the front of a palace.
It was commissioned by the goldsmiths guild in 1640, together with an image of Virgin Mary, Saint John, who’s the city patron saint, and Saint Eligius, patron of the goldsmiths.
According to a legend, Pellegro did such a great work that made one of his friend jealous, they later had a fight and Piola was killed.
Another cabinet with other painted ceramics can be found here. They have been dated back to the 18th century. Among these there’s a polychrome saucer which depicts the Vision of Virgin Mary that Antonio Botta had in 1536. This episode had been painted many times since then.
Room 6
[Valerio Castello, Holy Family and young Saint John, inv. 358]
The first artwork on your left was painted by the Baroque Valerio Castello, who died at only 35, but was able to influence his fellow artists in Genoa.
His Holy Family shows the studies he made on Parmigianino’s artworks, and how, inspired by the Emilian painter’s elegance, he reached refined and light figures, placed along abstract decorative diagonals.
His taste for decoration is what he left to Domenico Piola, the painter who’ll dominate the scene in Baroque Genoa.
[Domenico Piola, Bacchanal with putti and fauns, inv. 362]
This room is almost thoroughly dedicated to “Casa Piola”, the most important workshop in Genoa, led by Domenico Piola. The Bacchanal and the putti are two of his most recurring themes, as well as typical decorations that aristocrats frequently asked him to paint on their walls.
[Domenico Piola, Allegory of Charity and Faith, inv. 369]
The long painting above is an Allegory of Charity and Faith, and it was probably part of a greater decoration that adorned the top of a wall.
[Domenico Piola, Jesus Child in a flower garland, inv. 368]
At first, critics thought that Piola painted the Child, while his colleague, Stefano Camogli, painted the garland, as it often happened.
Later on, after further studies, Stefano was recognised as its only author.
[Domenico Piola, Jesus Child, inv. 536; Putto from behind, inv. 548; Virtue’s head, inv. 542]
Next to the window you’ll find three fragments of different frescoes by Domenico Piola.
The one on the left, which depicts a glowing Jesus Child, and the Putto from behind, on the right, were commissioned in 1683 by the Franciscan nuns of Saint Lawrence’s church, that was closed in the napoleonic period and partially demolished.
The Virtue’s head comes from a series of frescoes painted in the Holy Crucifix Chapel, in Saint Dominic’s Church, around 1653.
[Gregorio De Ferrari, Assumption, copy, inv. 400bis]
Gregorio De Ferrari had been a personality during the Baroque-Rococo period in Genoa, and worked in Domenico Piola’s workshop too.
His Assumption is a copy of Correggio’s one, as he was the painter that influenced him more than any other.
It’s a study of the well-known Parma’s Cathedral’s dome, that he saw in 1684.
[Giovanni Battista Gaulli, Saint Martha’s Glory, inv. 5]
On the left, there’s a sketch by Giovanni Battista Gaulli, a painter that left Genoa at 18, after the plague made him an orphan. He went to Rome, where he became a protégée of the greatest artists of that time: Gian Lorenzo Bernini.
This Saint Martha’s Glory, with a dynamic whirl of angels, putti and draperies, is inspired by the dome of Saint Martha’s Church in Rome.
Being this artwork near to De Ferrari’s Assumption, we can see how much both these artists owe to Correggio.
[Bartolomeo Biscaino, Holy Family with grapes, inv. 361]
This wall is completed by Biscaino’s Holy Family. He was one of Valerio Castello’s apprentice, and his painting is hung in front of his master.
[Giuseppe Rossi, Portrait of Gio. Giacomo Grimaldi, Doge of Genoa, inv. 695]
Giacomo Grimaldi, Doge of Genoa, was a member of one of the greatest family of the city, and one of the founders of the Academy in 1751.
His portraitist, Giuseppe Rossi, had also been one of the first professors at the School of nude.
[Francesco Narice, Portrait of Giovanni Andrea Monticelli; Portrait of Giovanetta Lovat Monticelli, inv. 453]
These two portraits depict Giovanni Monticelli’s parents. Monticelli was a collector who donated a few artworks to this Institute in 1851.
[Carlo Antonio Tavella, Landscape with Saint John the Baptist, inv. 406; Landscape with Saint Francis in ecstasy, inv. 406bis; Landscape with figures, inv. 410]
These three landscapes were painted by Carlo Antonio Tavella, an artist from Milan who worked mainly in Genoa, often working as landscaper in workshops, such as the Piola’s one.
Tavella’s skill in painting atmospheric effects can be seen in his Landscape with figures, which is considered one of his major works.
The other two ovals were probably painted for private worship.
[Plaster works]
The following section is dedicated to plaster works.
Collecting moulds of Greek and Roman sculptures was essential for every Academy of Fine Arts, until the 19th century.
In this Institute, gypsum casts of classical statues, as well as those of the Renaissance and Neoclassical periods, were once aligned in the great gallery.
Sadly, a lot of them were destroyed during the World Wars, and most of those that lasted are now kept in the museum’s storage.
The Belvedere Torso is a copy of the one in the Vatican Museums and was highly influential on a wide range of artists, from Michelangelo to Rodin.
The curly head on its right was recognised by Winckelmann as Alexander the Great, while there’s a copy of the Boy with Thorn in front of it.
You can also see a copy of the Apoxyòmenos (or “The Scraper”), the athlete who wipes himself after the fight.
The fighters’ sculpture in the centre of the room was given to the Academy by Anton Raphael Mengs, one of the protagonists of the Neoclassicism.
[Paintings]
This section is completed by a few artworks by painters related to this Institute for various reasons.
Here you can see Jupiter’s kiss, by Pietro Costa, one of Ratti’s apprentice.
On the opposite wall there’s a Wounded Paris, by Felice Vinelli, who was also the Headmaster of the Painting School of the Academy.
There’s also a Cupid and Psyche, by Giovanni David, a Neoclassicist and painter of the Durazzo family, and a Cupid fights with Pan by Giuseppe Galeotti.
Right before leaving the room, you’ll see Tancred baptises Clorinda, from the “Jerusalem Delivered”, painted by Carlo Giuseppe Ratti, and Ifigenia’s sacrifice by Alessandro Canepa.
Room 7
This room is dedicated to portraits and self-portraits realised between the 18th and the 20th century.
Two women’s artworks are hung on the right wall. Rosa Carrea Bacigalupo, daughter of the most important neoclassical artist in Liguria and wife of an important sculptor, is present here with her self-portrait and a portrait of her husband, with mallet and chisel.
[Antonietta Costa Galera, Self-portrait, inv. 447]
This self-portrait is the only artwork we have by Antonietta Costa Galera, a noble woman and a personality in the cultural life of Genoa.
Angelo Giacinto Banchero, whose self-portrait is kept here, was among those artists who studied in Rome.
[Giuseppe Isola, Self-portrait, inv. 457]
Giuseppe Isola was a supporter of the historical romanticism and appointed honorary historical painter by Carlo Alberto di Savoia.
He was also a professor at the Academy and first curator of Palazzo Bianco and Palazzo Rosso’s public galleries.
[Francesco Gandolfi, Portrait of Raffaele Granara, inv. 35]
Francesco Gandolfi portrayed his colleague Raffaele Granara, etching professor.
Less tied to the academic schemes, together with other painters, he promoted painting landscapes en plein air, following the newest european trends.
[Sante Bertelli, Portrait of Francesco Gandolfi, inv. 376]
After Gandolfi’s death, his friends asked Bertelli to paint his portrait. Bertelli was Isola’s apprentice, but then followed the Verismo trend.
[Gabriele Castagnola, Self-portrait, inv. 364]
Castagnola was known for his historical paintings and his illustrations on various republican magazines. He painted himself with a cigar, recalling the Verismo trend.
[Giovanni Quinzio, Self-portrait, inv. 758]
This self-portrait, by an elderly Giovanni Quinzio, who was both a teacher at the Academy and curator of the Public Museums, with its indistinct brush strokes, reflects the painter’s inner being.
[Giuseppe Pennasilico, Self-portrait, inv. 690]
Born, raised and educated in Naples, he then moved to Genoa. This self-portrait was given to this Gallery by his descendent in 1940, after his death.
He was still following the Verismo, but added his love for vivid colours, making pleasant his appearance, while smoking in a green outdoor.
Room 8
The right section of this room recreates the atmosphere of the Academy in the 1800. Academies were essential in that century, because although new artists were breaking the previous schemes and refusing conformism, it was in these places that they learned the arts of the past.
[Set]
Antique is the key word of this set, where sculptures, drawings, etchings and tools are apparently randomly placed.
We can see a Satyr’s bust from 2nd century BC and a 17th century’s copy of an Emperor’s head, both given by Marcello Durazzo.
All the drawings, etchings and moulds that were realised by the students during the exams are now part of the Academy’s heritage.
The large paintings here exposed followed Isola’s historical and academic trend, and deal with biblical and historical themes.
We have Luigi Sciallero’s Good Samaritan, Virginio Grana’s David and Micol and Luigi Castagnola’s Bianca Cappello.
[Luigi Garibbo, Parade to the Farmsteads, inv. 423]
Garibbo specialized in painting landscapes with watercolours and oil.
This painting, set in Florence, in 1859, shows a parade during which the first italian flag was delivered. It was an important event for the Italian Risorgimento, that led to the unification of the country.
Before leaving, please note the two busts, the first one, by Santo Varni, represents Federico Peschiera, a painter who had an eventful and tragic life, while the second, by Giuseppe Gaggini, represents the sculptor’s master, Niccolò Traverso.
Room 9
[Tammar Luxoro, View of La Spezia’s Gulf, inv. 583; Serafin De Avendaño, Along the river Bormida, inv. 616; Alfredo D’Andrade, Back from the woods at sunset, inv. 580; Rayper, In the woods, Laundresses]
The paintings exposed here show their contrast to the academic trend.
This contrast reached its peak when the School of painting en plein air was finally opened, in 1874, by Tammar Luxoro.
This event brought a change, that can be seen in the landscapes painted by Luxoro himself, by De Avendaño, D’Andrade and Rayper, while the atmosphere of the Macchiaioli movement can be found in The stable by Vincenzo Abbati and in Saint Zeno’s churchyard in Verona by Vincenzo Casabianca.
[Giovanni Scanzi, Orphan little girl, inv. 918; Little girl with a basket of fruits, inv. 917]
These two little girls, made of copper and bronze, were realised by Giovanni Scanzi, sculpture teacher at the Academy and protagonist of the so-called “Bourgeois realism”.
This trend, that celebrated the new ruling class, the middle-class, reached its fulfillment in the cemetery of Staglieno.
Sala 10
This last room holds the huge donation made by Max and Valeria Oberti.
It includes various artists who were active in this region at the beginning of the 20th century.
[Rubaldo Merello]
The wall on the right is dedicated to Rubaldo Merello, born in Lombardy, but grown up in Genoa, he then studied at the Academy. At first close to the divisionism, he then found his own expression in his retirement between Camogli and Portofino.
Because of his isolation and his use of intense colours, someone compared him to the great isolated artists of the time, such as Munch and Bonnard.
Merello dealt almost only with one subject: the coast and mount of Portofino, the landscape around his hideaway.
In his Spring sun it is recognisable Villa Altachiara, an amazing villa built on a cliff rising sheer from the sea. Legends say it is a haunted mansion, as its construction was commissioned by Lord Karnavon, who discovered Tutankhamon’s tomb.
[Giuseppe Cominetti]
A complete different artist from Merello, Cominetti attended the most avant-garde environments, from the divisionism, to the symbolism, even futurism, for a short time.
He met all the greatest artist of that time, from Modigliani to Marinetti, then he opened a study in Paris and worked also as a critic.
He followed the divisionism trend, as it’s clear from his paintings now kept here, but that were once realised for a Parisian high middle-class children’s room.
[Plinio Nomellini]
On the back wall you’ll find two of Plinio Nomellini’s artworks, a sketch of the Departure from Quarto’s rock, a painting that can be found at the Giannoni gallery in Novara, and The harvesting. Both of this works show the painter’s contribution to the artistic events in Liguria.
[Eugenio Baroni; Edoardo Alfieri]
The plaster work representing the hunter, static but tense, is the study for one of the athletes that Eugenio Baroni made for the Tennis Camp at the Foro Italico in Rome, commissioned by Mussolini in 1932.
The other two bronze sculptures, the Monument to Mameli and Cain and Abel, were made by Edoardo Alfieri, an artist who found himself among avant-garde, tradition and the informal movement and that reduced his figures to pure ideas, empty of any reality.
Here is where our visit ends.
Thanks for your attention.
Please, give the audio guide back to the ticket office.
[The building, testo del depliant]
For whom may be interested, you could still listen to little information about this building and the artworks along the staircase.
This building was erected on a project by the architect Carlo Barabino, on an area where once there was a convent, next to Saint Dominic’s church.
The neoclassical façade, completed in 1831, had to be similar to the Opera Theatre that Barabino himself planned and built a few years before.
The staircase’s majesty, dominated by the monumental stairwell around which various flights articulate, is now weakened, as the great octagonal room once visually connected to the staircase has been demolished.
Various fragments from the decorative frieze are kept in the Museum’s storage.
This decoration, realised by Santo Varni, on a project by Giuseppe Gaggini, celebrated Consul Marcus Claudius Marcellus Triumph over Syracuse in 212 BC.
Four marble sculptures stand in the recesses of the octagonal hall, representing four Genoese artists: Luca Cambiaso and Filippo Parodi by Luigi Orengo and Bernardo Strozzi and Bernardo Schiaffino by Guido Galletti.
In the recess on the top of the first flight stands a statue of Saint Catherine of Alexandria, while in the other two on the top of the following flights you can admire two sculptures from the 16th century, representing Saint James and Saint Philip, from the church of the same name.
On the walkway it is kept the bust of the painter Nicolò Barabino, by Antonio Allegretti.
The huge columns in the loggia on the second floor come from Saint Dominic’s church, while other four statues stand in the recesses decorating the walls, and each of them represents an artist related to the Academy: Carlo Barabino by Giovanni Battista Cevasco, Ernesto Rayper by Giulio Monteverde, Pietro Resasco by Agostino Allegro and Raffaele Granara by Vittorio Lavezzari.
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Translation education
Bachelor's degree - Università degli Studi di Genova
Experience
Years of experience: 9. Registered at ProZ.com: Nov 2016.
I graduated in theories and techniques of interlingual mediation.
I have substantial experience in translation and writing, I was trained in acting, I speak four languages, I worked both as a journalist and a speaker, and I acted in some theatre productions.
Now, I am studying for an MA in Theatre and Performance Research at the University of Warwick.
I have always been passionate about the arts: literature, theatre, film and music above all. When I worked as a junior journalist and speaker, I usually covered theatre, cinema and music news.
Alongside my passion for the arts there's my love for travelling: one of my favourite hobbies is going on last-minute-planned journeys, usually alone. I am a lone traveller, I always find it a cathartic experience.