This site uses cookies.
Some of these cookies are essential to the operation of the site,
while others help to improve your experience by providing insights into how the site is being used.
For more information, please see the ProZ.com privacy policy.
This person has a SecurePRO™ card. Because this person is not a ProZ.com Plus subscriber, to view his or her SecurePRO™ card you must be a ProZ.com Business member or Plus subscriber.
Affiliations
This person is not affiliated with any business or Blue Board record at ProZ.com.
Italian to Portuguese: Alice From Wonderland General field: Art/Literary Detailed field: Poetry & Literature
Source text - Italian Prefazione
di Federica D’Ascani
Lo scrittore è simile a Dio.
Azzardato come paragone, non è vero? Eppure pensateci. Un autore crea mondi, crea personaggi, crea psicologie e ne tira le fila come meglio crede. Vi è mai capitato di ascoltare una loro conversazione in merito al proprio lavoro? Molti asseriscono di descrivere semplice¬mente le storie che gli vengono narrate dai personaggi stessi, come se una volta creati questi possano essere dotati di vita propria. Diventare reali e cantare le proprie vicissitudini ai lettori mediante i mezzi che l’autore conferisce loro… E in effetti noi, semplici e umili spettatori delle loro vite, non gio¬chiamo con il pensiero dei loro volti, caratteri, amori o tensioni? Non li incitiamo come se stessero sfrecciando nella corsa della propria esistenza, avvertendoli dei pericoli, consolandoli quasi con le nostre lacrime o i nostri sorrisi? La lettura, in fondo, è bella proprio perché capace di tra¬smettere emozioni e sensazioni altri¬menti impossibili da provare nella vita reale, nel mondo concreto. Sì, l’autore ha l’accesso a un universo pa¬rallelo, in cui è creatore e confi¬dente di persone irreali eppure dalla cor¬posità talmente densa da riu¬scire a penetrare l’animo di chi ne viene a contatto, incendiandolo nel profondo. Ora, a fronte di questa semplice e anche banale osservazio¬ne, possiamo provare a spingerci oltre. Cosa accade quando l’autore perde il contatto con la realtà? Quando eventi esterni, nel mondo che siamo abituati ad abitare, ne inficiano le facoltà intellet¬tuali e ne limitano l’obiettività nel rimanere ancorato alla vita per come la conosciamo? Impazzisce? Forse. Si distacca dalla logica quotidia¬na rifugiandosi nel parallelismo che egli stesso ha creato per gli altri e che, mai come prima di allora, rappresenta il nido per le proprie insicu¬rezze. Sarà accaduto questo a molti scrittori prima di cedere completa-mente il passo alla follia? Ci sono stati autori talmente sconvolti dalle brutture della società, scottati dai pregiudizi e dalle considerazioni avven¬tate sulle loro persone, in grado di eclissarsi dal mondo umano e ripiega¬re l’attenzione sulla strut-tura delle loro storie, vivendole quasi. Ma andia¬mo oltre. Perché c’è un quesito ancora più grande di cui dover discorrere e che è al centro del libro che vi state accingendo a leggere. In ogni ro-manzo vi è un mondo, simile o discostante dal nostro concreto luogo di appartenenza. Quel mondo non cessa di esistere all’ultima pagina del testo a cui fa capo. Quel mondo, come in un’eterna storia infinita, continua a pulsare, a generare personaggi e situazioni. Profondamente legato al proprio creatore, quell’universo a sé stante si mescola alla vita e ne deforma alcuni tratti. Cosa accade quando il Dio di queste creazioni viene a mancare nella vita reale? I personaggi, pur essendo ancorati alle pagine a cui sono stati assicurati, avvertono la tragicità della diparti¬ta? E come reagiscono? Questo, a ben pensarci, è un discorso com¬plesso, che sfocia nel concetto di infinito, illogico, irreale e approda in quello fantasioso dell’immaginazione e delle percezioni a essa collega-ta. Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie, forse, è una storia davvero infinita che, dopo essere stata ideata da Carroll, lascia ampio spazio al futuro e a mille altri creatori in grado, con il guizzo proprio della genialità e della capacità di sondare nell’ignoto, di prendere per mano il lettore e accompagnarlo nei meandri di un nuovo universo, magari ancor più bello di volta in volta, perché arricchito dalle espe¬rienze del tempo che scorre nei secoli.
Ed è proprio questo che Alessia Coppola farà con voi tra poco. Io, per conto mio, vi sto parlando dalla tana del Bianconiglio… E non ho alcuna intenzione di tornare in¬dietro. Quindi, lettori, salutate la vostra realtà e scendete senza ag¬grapparvi a nessuna radice che spunta dalle pareti. Fatevi avvolgere dal fumo del Brucaliffo e dimenticate…
Dimenticate…
Translation - Portuguese Prefácio
de Federica D'Ascani
O escritor é como Deus.
Comparação ousada, não é verdade? Até pensar assim: Um autor cria mundo, cria personagens, cria psicologias e as faz como achar melhor. Nunca aconteceu com vocês de escutar uma conversa deles sobre o próprio trabalho? Muitos afirmam que simplesmente descrevem as estórias que lhes vêm narradas pelos próprios personagens, como se uma vez criados estes possam ser dotados de vida própria. Tornar reais e cantar as próprias vicissitudes para os leitores mediante aos meios que os autores lhes conferem... E nós, simples e humildes espectadores de suas vidas, não brincamos de imaginar os seus rostos, caráteres, amores ou tensões? Não os incitamos como se fossem lançados na corrida da própria existência, advertindo-os dos perigos, consolando-os com as nossas lágrimas ou os nossos sorrisos? A leitura, no fundo, é muito boa porque é capaz de transmitir emoções e sensações impossíveis de experimentar na vida real, no mundo concreto. Sim, o autor tem acesso a um universo paralelo, do qual é criador e confidente de pessoas irreais, e apesar da complexidade densa para conseguir penetrar a alma de quem vem em contato, incendiando-o no âmago. Agora, diante desta simples e também banal observação, podemos tentar ir além. O que acontece quando o autor perde o contato com a realidade? Quando eventos externos, no mundo que estamos acostumados a viver, afetam as faculdades mentais e limitando a objetividade em permanecer ancorado na vida como a conhecemos? Loucura? Talvez. Destaca-se da lógica cotidiana se refugiando no paralelismo que ele mesmo criou para os outros e que, como nunca antes, representa o ninho para as próprias incertezas. Isso terá acontecido a muitos escritores antes de cederem completamente espaço para a loucura? Houve autores, tão envolvidos pelos horrores da sociedade, perseguidos pelos preconceitos e pelos comentários aventados sobre suas pessoas, em condições de se eclipsarem do mundo humano e dobrar a atenção sobre as suas estórias, quase as vivendo. Mas vamos além. Porque há um quesito ainda maior do qual é necessário falar e que está no centro do livro que vocês estão começando a ler. Em cada romance há um mundo, similar ou destoante do lugar concreto que pertencemos. Aquele mundo não para de existir na última página do livro ao qual pertence. Aquele mundo, como em uma eterna estória, continua a pulsar, a gerar personagens e situações. É profundamente ligado ao próprio criador, aquele universo por si só se mistura com a vida e lhe modifica em alguns pontos. O que acontece quando o Deus destas criações vem a faltar na vida real? Os personagens, mesmo estando ancorados às páginas nas quais foram encerrados, previnem da tragicidade da partida? E como reagem? Isso, pensando bem, é um assunto complexo, que resulta em conceito de infinito, ilógico, irreal e atraca naquele de imaginação fantasiosa e de percepções ligadas a ela. As aventuras de Alice no País das Maravilhas, talvez seja uma estória de verdade infinita que, depois de ter sido ideada por Carroll, deixa um amplo espaço no futuro e a milhares de criadores em condições, com o lampejo próprio da genialidade e da capacidade de sondar o desconhecido, de pegar o leitor pela mão e acompanhá-lo nos meandros de um novo universo, quem sabe ainda mais bonito enriquecido pelas experiências do tempo que atravessa os séculos.
E é isso mesmo que Alessia Coppola fará com vocês daqui a pouco. Eu, por minha conta, estou falando com vocês da toca do Coelho Branco... E não tenho intenção alguma de voltar. Então, leitores, se despeçam da realidade de vocês e desçam sem se agarrarem a nenhuma raiz que despontam pelas paredes. Deixem-se envolver pela fumaça da Lagarta e esqueçam...
Esqueçam...
Italian to Portuguese: Lovecraft's Innsmouth General field: Art/Literary Detailed field: Poetry & Literature
Source text - Italian Lovecraft’s Innsmouth
Se nulla ha inizio, nulla ci sarà.
(Proverbio tibetano)
Pioveva a dirotto; fango misto a cemento e intonaco goccio¬lava dalla struttura in costruzione, rendendo scivolosi i pavi¬menti sconnessi. Non per questo i lavori si erano fermati. No¬nostante indossassi il mio pesante Stockman australiano, sotto i vestiti erano fradici. Andare su e giù per le scale di un palazzo di quindici piani in costruzione con un sacco di cemento in spalla, se non altro, mi manteneva caldo. Il che non significa che la rottura di coglioni fosse minore. Il mio Casio – che a onta di tutti gli sbattimenti degli ultimi anni funzionava ancora – mi diceva però che il turno di lavoro stava finendo. Mi presi una piccola pausa abusiva per festeggiare. Trovai un punto pro¬tetto da depositi di materiali edili al pianterreno e mi sedetti su un pallet di mattonelle. Ero rivolto a ovest, verso la distesa piatta di edifici cadenti che di recente il piano regolatore del comune aveva deciso di radere al suolo. Avrei potuto godermi il tramonto se non fosse stato per la cortina di pioggia che ren-deva il panorama – appena oltre l’intrico di travi e di pali – un velo scuro e indistinto. Mi stavo accendendo un sigarino (un prodotto economico di contrabbando che, stando al sapore, sembrava le cubane avessero confezionato lisciando le foglie di tabacco nel solco tra le chiappe, e non sulle cosce, come vuole la leggenda) quando l’ingegnere a capo dei lavori spuntò dall’oscurità dell’androne come un pezzo di merda da un culo. Mi rendo conto che la metafora può apparire azzardata, ma fu quello che pensai sul momento.
«Si può sapere che cazzo stai facendo?» mi apostrofò. Al corso per motivatori professionali probabilmente si era distratto giocando con il cellulare.
Lo guardai e conclusi che un pezzo di merda si sarebbe an-nunciato con più discrezione. E avrebbe anche avuto un aspetto più grazioso di quel grassone di quasi settant’anni, perenne-mente incazzato perché, ogni volta che stava per andare in pen-sione, qualcuno al governo pensava bene di alzare l’asticella. Il casco giallo gli ballava sulla testa come un’insalatiera; dai pan-taloni impermeabili troppo corti spuntavano un paio di caviglie rinsecchite e pelose infilate in calzini bianchi impastati di sabbia, melma e cemento. Il viso grinzoso in alcuni punti era costellato di ciuffi di barba ispidi mentre in altri era completa-mente glabro. Sembrava che si fosse sbarbato con una fiamma ossidrica. Un occhio era parzialmente coperto da una palpebra cascante, l’altro scattava a intervalli regolari verso l’alto, dando l’impressione che il suo sguardo ti squadrasse e ti mandasse af-fanculo nello stesso tempo. Nel complesso, aveva l’aspetto di qualcosa appena dissotterrato da un gruppo di cani.
«Prendo fiato», risposi. «È stata una giornata dura.»
Non volevo essere scortese. Volevo costruirmi un karma po-sitivo. E naturalmente non volevo farmi licenziare.
L’uomo fissò con disprezzo e astio il mio Stockman. «Ancora con quello straccio da mandriano. Quante volte devo dirti che non puoi indossare quel pastrano del cazzo sul luogo di lavoro?»
«Avrà notato che piove. E qui nessuno passa le mantelle im-permeabili che la legge prevede. Mi arrangio con quello che ho. D’altronde anche lei non è proprio all’ultima moda.»
L’uomo osservò con rabbia il sacco della spazzatura che si era infilato dalla testa a mo’ di poncho.
«Lascia perdere come mi vesto io», balbettò, inviperito, spu-tacchiando in giro. Poi la sua bocca si aprì in un sorriso che mi ricordò in modo sinistro il dischiudersi di una fossa settica. No-nostante l’odore di pioggia, di calce, di cemento e di vernici, il suo fiato tutt’altro che balsamico stava impregnando l’aria. Se avessi avvicinato la brace del sigaro alla sua bocca avrei proba-bilmente provocato un’eruzione di fiamme da girone infernale. Il vero problema era, però, che quando sorrideva in quel modo era perché aveva qualcosa di spiacevole da comunicare. La so-cietà creava uomini come quelli: abbrutiti, estenuati, inappagati e inaciditi a tal punto da ritrovare una scintilla di vita solo nel momento in cui potevano scaricare parte della loro frustrazione sul groppone di qualcuno ancora più sfigato. In quel caso il qualcuno ero io. Alla faccia di quel boccalone di Tenzin Gyatso e della sua convinzione che l’umanità sopravviva grazie alla bontà, all’amore e alla compassione. Mi preparai alla catti¬va notizia.
Translation - Portuguese A Innsmouth de Lovecraft
Se nada começa, nada existirá.
(Provérbio tibetano)
Chovia forte, lama misturada com cimento e reboco pingava da estrutura em construção, tornando os pavimentos desconexos escorregadios. E nem por isso os trabalhos foram interrompidos. Embora vestisse o meu sobretudo, um Stockman australiano, as minhas roupas estavam encharcadas. Subir e descer as escadas de um prédio de quinze andares em construção com um saco de cimento nas costas, pelo menos me mantinha aquecido. O que não significa que o rompimento dos colhões fosse menor. O meu Casio – que apesar de todas as pancadas dos últimos anos, ainda funcionava – e me dizia que o turno do trabalho estava terminando. Fiz uma pequena pausa abusiva para festejar. Encontrei um ponto protegido para depósito de materiais de construção no térreo e me sentei sobre um pallet de ladrilhos. Eu estava em posição oeste, no sentido da extensão plana dos edifícios abandonados que recentemente o plano regulador da cidade tinha decidido demolir. Poderia ter aproveitado o por do sol se não fosse pela cortina de chuva que dava ao panorama – somente além do intrincado de traves e postes – um véu escuro e indistinto. Estava acendendo um charutinho (um produto barato de contrabando que pelo sabor, parecia que as cubanas o tinham confeccionado alisando as folhas de tabaco no sulco entre as nádegas, e não sobre as coxas, como reza a lenda) quando o engenheiro encarregado dos trabalhos surgiu na escuridão do pátio como um pedaço de merda. Percebo que a metáfora pode parecer azarada, mas foi o que pensei no momento.
“Pode se saber que merda está fazendo?” me perguntou rudemente. No curso de motivadores profissionais provavelmente tinha se distraído brincando com o celular.
Olhei-o e concluí que um pedaço de merda teria se anunciado com mais discrição. E teria também tido um aspecto mais gracioso do que aquele gorducho de quase setenta anos, permanentemente irritado porque toda vez que estava para se aposentar, alguém do governo pensava bem e ampliava o prazo para a aposentadoria. O capacete amarelo dançava sobre a cabeça como uma saladeira, das calças impermeáveis excessivamente curtas despontavam um par de tornozelos ressecados e peludos enfiados em meias brancas empastadas de areia, lodo e cimento. O rosto enrugado, em algumas partes, estava coberto por uma barba híspida e em outras estava completamente pelado. Parecia que tivesse se barbeado com um maçarico. Um olho era parcialmente coberto por uma pálpebra caída, o outro piscava em intervalos regulares, dando a impressão que o seu olho te esquadrinhasse e te mandasse a merda ao mesmo tempo. No geral, tinha o aspecto de algo que havia sido desenterrado por um grupo de cães.
“Recuperando o fôlego”, respondi. “Foi um dia duro.”
Não queria ser mal educado. Queria construir para mim um carma positivo. E naturalmente não queria ser despedido.
O homem fitou com desprezo e raiva o meu Stockman. “Ainda com esta porcaria de roupa de cowboy. Quantas vezes preciso te dizer que não pode usar este casaco de merda no local de trabalho?”
“Terá notado que chove. E aqui ninguém nos fornece as capas impermeáveis que a lei prevê. Arranjo-me com o que tenho. De qualquer, modo o senhor também não está na última moda.”
O homem observou com raiva o saco de lixo no qual tinha se enfiado na cabeça como se fosse um poncho.
“Deixe pra lá como me visto”, gaguejou furioso, cuspindo para todo lado. Então a sua boca se abriu em um sorriso que me fez lembrar, de forma sinistra, a abertura de uma fossa séptica. Apesar do cheiro da chuva, cal, cimento e de verniz, o seu bafo que era tudo exceto balsâmico estava impregnando o ar. Se eu tivesse aproximado de sua boca as brasas do charuto, teria provavelmente provocado uma erupção de chamas infernais. O verdadeiro problema era que quando sorria daquele jeito era porque tinha alguma coisa de desagradável para comunicar. A sociedade criava homens como aqueles, embrutecidos, extenuados, insatisfeitos e azedos a tal ponto de encontrar uma centelha de vida somente no momento no qual podiam descarregar parte de suas frustrações nas costas de alguém ainda mais desafortunado. Neste caso, o alguém era eu. Em face daquela boca de pato de Tenzin Gyatso e de sua convicção que a humanidade sobrevive graças à bondade, ao amor e a compreensão. Preparei-me para a má notícia.