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Italian to Spanish: La Llave de Poseidón General field: Art/Literary
Source text - Italian Dicembre 2012
L’autostrada quella notte era deserta, vuota. Un po’ come lui. Mancavano poche ore all’alba, ma non gli interessava. Erano giorni che non guardava l’orologio. O il cielo. O le persone.
L’unica cosa che guardava era la strada che stava percorrendo e lo smartphone che teneva sempre a portata d’orecchio. Casomai lei chiamasse.
Dio, com’era stupido.
Smettere di parlare con lui, non rispondere alle sue telefonate, né ai messaggi, non dirgli dove cazzo fosse andata; era tutto piuttosto chiaro.
Non voleva più avere niente a che fare con lui.
Una Golf si immise all’improvviso da una corsia di accelerazione. Damian sterzò bruscamente per non finirgli col muso nel bagagliaio e le ruote della sua Maserati Granturismo cabrio stridettero. Si avventò così forte contro il clacson che il volante scricchiolò e, mentre lo sorpassava, si voltò per inveire contro il guidatore della Golf.
Tempo prima, non gli sarebbe passato neppure per la testa di attaccare briga in quel modo. Ma senza di lei, era tutto diverso. Quando si accorse che al volante c’era una donna, mugugnò un’imprecazione e premette sull’acceleratore, sfrecciando in avanti.
Era ovvio che non volesse avere più niente a che fare con lui; era stato un illuso a credere che sarebbe potuta finire diversamente. Chi mai avrebbe potuto amare uno come lui?
Il Principe dei guerrieri. Lui si muoveva a braccetto con la morte, era nato per essere gelido e implacabile.
Quale donna sana di mente avrebbe mai potuto sopportarlo? Eppure, ci aveva creduto.
Per tutti quei mesi, aveva creduto che lei potesse amarlo davvero.
Dal porta bicchiere accanto al cambio, prese il gigantesco bicchiere di Coca-Cola che aveva comprato ad un take-away. Le carte dei panini che aveva mangiato giacevano abbandonate e unte sul sedile del passeggero.
Prese tra le labbra la cannuccia, stingendola un po’ con i denti, e
succhiò una lunga sorsata.
Si riempì la bocca della bibita, prima di mandarla giù. Ne aveva presa così tanta che gli fece male la gola nel deglutire.
Fanculo, meritava di soffrire.
Avrebbe mangiato un hamburger con formaggio e schegge di vetro se fosse servito a riaverla.
Tossicchiò per liberarsi dalla sensazione di affogamento della bevuta e mise a posto il bicchiere, prima di pulirsi la bocca con il dorso della mano.
No, non poteva accettarlo.
Non poteva accettare di svegliarsi da solo ogni mattina, non poteva accettare di non vedere più quelle sue orrende maglie oversize, non poteva accettare di non sentire più tutte quelle domande del cazzo che solo lei sapeva fare.
Ma soprattutto, non poteva continuare a vivere senza sapere dove fosse andata.
Accelerò così tanto che l’enorme lupo nero sul sedile posteriore protestò con un verso gutturale; un misto tra un guaito e un ringhio.
«Sta’ zitto» ringhiò, guardandolo distrattamente nello specchietto retrovisore.
Ecco cosa gli rimaneva di lei.
Un sacco di pulci di quasi sessanta chili e i sedili della Maserati macchiati di bava.
E se Damian non l’aveva ancora sbattuto in un maledetto canile era soltanto per un motivo: il lupo era l’unico che potesse capire davvero il suo dolore.
Lei era la sua padrona, la sua kykyos, che nella lingua dei lupi significava più o meno: sarò la tua ombra finché morte non ci separi.
Ma non aveva dovuto aspettare la morte; lei se ne era andata nel cuore della notte, silenziosa come lui le aveva insegnato ad essere.
Se ne era andata così in fretta da non lasciare nemmeno un biglietto. Nemmeno un fottuto post-it che gli dicesse dove stesse andando. Niente.
Lui si era svegliato in un letto vuoto, in una casa silenziosa e con il cuore ghiacciato.
Prima di lei, la sua vita era stata semplice.
Damian è inginocchiato e immobile di fronte alla piccola finestra. Il fucile di precisione è appoggiato al solido treppiede e solo qualche centimetro della canna fuoriesce sul davanzale, diretta verso la seconda finestra da sinistra dell’ultimo piano del palazzo di fronte.
Sta aspettando la sua prossima vittima.
Un imprenditore gli ha dato quattro milioni di euro per far fuori il giovane rivale in amore. Damian ha avuto modo di studiare la vittima per giorni: i suoi orari, le sue abitudini, le sue frequentazioni – che comprendono anche la giovane e procace moglie del suo anziano cliente – .
Con un lavoro come il suo deve stare incredibilmente attento: non ha mai una seconda possibilità.
Ma a lui non serve. È sempre perfetto al primo colpo.
È arrivato un po’ in anticipo, tanto per essere sicuro di non perdere l’occasione.
I suoi collaboratori dicono che si fa pagare troppo per fare una cosa che gli piace così tanto e forse hanno ragione.
Uccidere gli piace. Gli piace quanto ad un uomo può piacere mangiare e scopare.
E gli piacerebbe tanto pensare che sia una perversione. Vorrebbe essere uno di quegli umani traumatizzati che diventano serial killer in risposta a maltrattamenti infantili o abusi. Vorrebbe essere uno psicopatico che agisce sulla spinta della volontà di vendetta verso il mondo, di rivalsa contro degli aguzzini infami. Anche essere un maledetto pervertito sessuale gli andrebbe bene. Ma la verità è che non ha giustificazioni. Non è traumatizzato, non è vendicativo, non ha nessuna motivazione soggetta a un qualche tipo di pietosa comprensione o compassione.
È un gelido killer. Ed è tutta colpa del suo maledetto sangue.
Quello stronzo di suo padre gli ha lasciato in eredità quell’odiosa freddezza, quella terribile e asettica consapevolezza di ogni gesto. Lui non perde mai il controllo. Non può, non è nella sua natura.
La sua natura è quella di un guerriero. E non uno qualunque. Il Principe dei guerrieri.
Ma lo squadrone per cui lavora non ha l’usanza di pagare in denaro, così si è ritrovato a dover lavorare per gli umani, che gli garantiscono un tenore di vita che si confà ad un Principe.
In realtà, non gli importa minimamente dei soldi; nonostante il suo conto in banca vanti un gran numero di zeri, avere un tetto sulla testa, abiti puliti e il frigorifero pieno gli è più che sufficiente. A spendere tutto quello che guadagna, comunque, ci pensano i suoi collaboratori.
La porta dell’ufficio nel palazzo di fronte si apre ed entra un ragazzo. Sulla trentina, lunghi capelli biondi legati in una coda bassa e un completo da quattro soldi.
Damian aspetta che si sieda alla scrivania, così da avere un bersaglio più stabile.
Come sua abitudine, l’uomo si toglie la giacca, appoggiandola sulla sedia, e poi apre la finestra per arieggiare l’ufficio. Non è nemmeno brutto, il poveraccio, ma lavora in un ufficio di assicurazioni: la moglie dell’imprenditore di certo non lascerà il suo ricco marito per finire assieme ad uno che va in giro con un orologio di plastica.
Damian allinea gli occhi al mirino, mormorando:
«Ti faccio un favore, amico. Quella troia ti spezzerà il cuore.»
E proprio un istante prima di premere il grilletto, il cellulare vibra nella sua tasca.
Impreca, tirandolo fuori e rispondendo.
«Che Dio ti chiami a sé, se non è importante.»
All’altro capo, la voce di un uomo ride.
«Sempre di buon umore, sento.»
«Che c’è?»
«Volevo dirti che l’ha fatto, l’ha messo online. Puoi contattarla.»
«Va bene» grugnisce, senza spostare gli occhi dal suo obiettivo. Il suo interlocutore sembra indugiare.
«Hai sempre la solita fortuna del cazzo» mugugna, «Così ti sarà
incredibilmente più facile…»
«Ho da fare, Ric» taglia corto, «Parliamo a casa.» Chiude la comunicazione e si mette il telefono in tasca. Controlla di nuovo nel mirino e fa un respiro profondo.
L’uomo sta leggendo qualcosa sullo schermo del computer. Damian preme il grilletto.
Nessun rumore nell’aria: il suo fucile è tra i più silenziosi esistenti. Soltanto un millesimo di secondo e la testa dell’uomo si frantuma; i resti si spalmano sulla parete dietro di lui, colorandola di rosso scuro e rosa.
Con gesti veloci e pratici, Damian smonta velocemente il fucile e il treppiede, riponendoli in una tracolla di pelle nera. Se la passa sulla spalla e, con nonchalance, esce dal bagno, attraversando un lungo corridoio bianco, in cui decine di persone siedono in attesa fuori dagli ambulatori.
Senza degnare nessuno di uno sguardo si avvia verso l’uscita. È quello il bello delle cliniche: nessuno fa domande quando si entra ed è normale che siano piene di gente.
Sale su una anonima Clio nera dai finestrini oscurati, appoggiando con cura la borsa sul sedile del passeggero, ed accende il motore.
Con tutta calma, manovra fuori dal parcheggio e si inserisce nella strada.
Niente. Nemmeno un brivido.
Ma è normale, uccidere gli umani non gli procura nessun tipo di emozione. Non più, almeno. Dopo dodici anni passati a fare quel lavoro, ogni entusiasmo è sfiorito. È stato come un matrimonio: all’inizio tutto sembra idilliaco, sorprendente, carico di aspettative. Ma poi arrivano le bollette, la spesa, le tasse e a poco a poco l’amore viene sopraffatto dalla vita vera, dalla normalità, e un po’ di emozioni vengono soffocate fino a che non rimane soltanto l’efficienza della realtà.
Tuttavia, ora ha in ballo qualcosa di diverso; qualcosa di cui si occupa di rado.
Parcheggia la macchina a qualche metro di distanza da un cancelletto di ferro, che si apre su un piccolo giardino.
Spia quella vittima da tre mesi ormai e gli sembra di conoscerla come le sue tasche. Spegne il motore e rimane in attesa: appena farà buio, scenderà dalla macchina e potrà avvicinarsi di più.
Ma è soltanto questione di ore prima che possa colpire ed è stata
la stessa vittima a fornirgli l’alibi migliore.
Ric ha ragione. È dannatamente fortunato.
Translation - Spanish Diciembre 2012
La carretera esa noche estaba desierta, vacía. Un poco como él. Faltaban pocas horas para el amanecer pero no le interesaba. Hacía ya días que no miraba el reloj o el cielo o a las personas.
La única cosa que miraba era la ruta que estaba recorriendo y el smartphone que tenía siempre al alcance de la oreja. Por si acaso ella llamara.
¡Por Dios cómo era de estúpido!
Dejar de hablar con él, no responder a sus llamadas ni a sus mensajes, no decirle a dónde diablos había ido, todo era muy claro.
No quería nada más qué ver con él.
Un Golf se metió de improviso desde el carril de aceleración. Damián giró el volante bruscamente para no terminar con la trompa de su Maserati Gran Turismo en el baúl y las ruedas del descapotable chillaron. Se lanzó con tal fuerza contra el claxon que el volante rechinó, y se volvió para despotricar en contra del piloto del Golf mientras la rebasaba.
Tiempo atrás no le habría pasado por la mente iniciar una pelea en esa forma. Pero sin ella todo era diferente. Cuando se dio cuenta que al volante estaba una mujer, gruñó una imprecación y oprimió el acelerador para seguir adelante.
Era obvio que no deseaba tener nada que ver con él, había sido un iluso al creer que habría podido terminar de otro modo. ¿Quién habría podido amar a alguien como él?
El Príncipe de los Guerreros. Se movía del brazo con la muerte, nació para ser gélido e implacable.
¿Qué mujer sana de mente habría podido amarlo de verdad? Aún así él lo había creído.
Durante todos esos meses había creído que ella podía amarlo de verdad.
Del portavasos a la par de la palanca de cambios, tomó un gigantesco vaso de Coca-Cola que había comprado en un take-away. Los restos de los envoltorios de lo que se había comido estaban abandonados y juntos sobre el asiento del pasajero.
Tomo la pajilla entre los labios apretándola un poco con los dientes y succionó un largo sorbo.
Se llenó la boca de la bebida antes de tragar, había tanta, que le hizo daño en la garganta al deglutir.
¡A la mierda! Merecía sufrir.
Habría comido hamburguesas con queso y chayes de vidrio por tenerla de nuevo.
Tosió para liberarse de la sensación de ahogamiento de la bebida y metió en su lugar el vaso antes de limpiarse la boca con el dorso de la mano.
No, no podía aceptarlo.
No podía aceptar eso de despertarse solo cada mañana, no podía aceptar no ver más sus horribles camisones oversize, no podía aceptar no escuchar esas jodidas preguntas que solo ella podía hacer.
Pero sobretodo, no podía continuar viviendo sin saber en dónde se encontraba.
Aceleró tanto que el enorme lobo negro sobre el asiento posterior protestó con un ruido gutural mezcla de gemido y gruñido.
— ¡Cállate! — gruñó mirando distraídamente por el espejo retrovisor.
Eso es lo que le quedaba de ella.
Un saco de pulgas de casi sesenta kilos y los asientos de la Maserati manchados de baba.
Y si Damián aun no lo había abandonado en una maldita perrera era solamente por un motivo: el lobo era el único que podía entender de verdad su dolor.
Ella era su patrona su kykyo que en la lengua de los lobos significaba más o menos: seré tu sombra hasta que la muerte nos separe.
Pero no tuvo que esperar la muerte; ella se había ido en el corazón de la noche, silenciosa como él le había enseñado.
Se había marchado tan de prisa que no había dejado ni siquiera una nota. Ni siquiera un jodido post-it que le dijera a dónde putas se había ido. ¡Nada!
Él se había despertado en una cama vacía, en una casa silenciosa y con el corazón helado.
Antes de ella su vida había sido simple.
~~
Damián está de rodillas e inmóvil frente a la pequeña ventana. El fusil de precisión apoyado al sólido trípode y solo algunos centímetros del cañón sale de la cornisa apuntando hacia la segunda ventana a la izquierda del último nivel del edificio de enfrente.
Está esperando a su próxima víctima.
Un emprendedor le dio cuatro millones de euros para sacar de circulación a un joven rival en amores. Damián ha tenido el tiempo de estudiar a su víctima por varios días, sus horarios, sus costumbres, las personas a las que frecuenta entre las cuales también está la joven y procaz esposa de su anciano cliente.
Con un trabajo como el suyo debe estar increíblemente atento ya que no se tiene nunca una segunda posibilidad.
Pero a él no le falla, el primer golpe es siempre perfecto.
Llegó un poco antes solo para asegurarse de no perderse la ocasión.
Sus colaboradores dicen que se hace pagar demasiado para hacer algo que le gusta tanto y quizá tienen razón porque asesinar le gusta, le gusta cuanto a un hombre le puede gustar comer o fornicar.
Y le gustaría mucho pensar que es por perversión. Quisiera ser uno de esos seres traumatizados que se convierten en asesinos seriales como respuesta a los maltratos o abusos sufridos en la infancia. Quisiera ser un psicópata que actúa bajo la influencia del deseo de venganza en contra del mundo, un recurso en contra de sus captores infames. Hasta ser un pervertido sexual le iría bien. Pero la verdad es que no tiene justificaciones. No está traumatizado, no es vengativo, no tiene ninguna motivación producto de alguna forma de incomprensión o autocompasión.
Es un frío asesino. Y es toda culpa de su maldita sangre.
Esa mierda de su padre le dejó en herencia esa odiosa frialdad, aquella terrible y aséptica consciencia de cada gesto. Él no pierde jamás el control. No puede, no es parte de su naturaleza. Su naturaleza es aquella de un guerrero, y no uno cualquiera: la naturaleza del Príncipe de los Guerreros.
Pero el escuadrón para el cual trabaja no acostumbra pagar en dinero, así que se encontró con que tenía que trabajar para los humanos que le garantizan el nivel de vida que se espera de un Príncipe.
En realidad no le importaba en lo más mínimo el dinero a pesar de que su cuenta bancaria cuente con un gran número de ceros; con tener un techo sobre la cabeza, vestidos limpios y el refrigerador lleno; es más que suficiente. Como sea, a gastarse todo aquello que gana, piensan sus colaboradores.
La puerta de la oficina en el edificio de enfrente se abre y entra un muchacho, alrededor de los treinta años, largos cabellos rubios atados en una cola baja y un traje completo barato.
Damián espera a que se siente en el escritorio de modo de tener un blanco más estable.
Como de costumbre el hombre se quita la chaqueta apoyándola sobre la silla y después abre la ventana para ventilar la oficina. No es ni siquiera feo el miserable pero trabaja en una oficina de seguros, la mujer del inversionista ciertamente no dejará a su rico marido para terminar junto a uno que va por allí con un reloj de plástico como pulsera.
Damián alinea los ojos a la mira murmurando.
— Te hago un favor amigo, esa puta te romperá el corazón. —
Y un instante antes de oprimir el gatillo el celular vibra en su bolsillo, refunfuña sacándolo y respondiendo.
— ¡Que Dios te llame a juicio si no es importante! —
Del otro lado la voz de un hombre ríe.
—Siempre de buen humor veo. —
— ¿Qué quieres? —
— Quería decirte que lo hizo, lo puso online. Puedes contarla. —
— ¡Está bien! — gruñó sin quitar los ojos de su objetivo. Su interlocutor pareció dudar.
— Tienes siempre la misma suerte de mierda. — murmura.
— Así será increíblemente más fácil para ti... Tengo trabajo qué hacer. — cortante, —Hablamos en casa. — Cierra la comunicación y se mete el teléfono en el bolsillo, controla de nuevo en la mira y respira profundamente.
El hombre está leyendo algo en la pantalla de la computadora. Damián oprime el gatillo.
Ningún rumor en el aire, su fusil es de los más silenciosos que existen. Solamente un milésimo de segundo y la cabeza del hombre de despedaza, los restos se esparcen en la pared detrás de él coloreándola de un rojo oscuro y rosado.
Con gestos veloces y prácticos Damián desmonta velozmente el fusil y el trípode, y vuelve a poner todo en una valija de piel negra. Se pasa la correa sobre el hombro y con nonchalance sale del baño, atravesando un largo corredor blanco en el cual decenas de personas están sentadas afuera de los ambulatorios.
Sin dignarse mirar a nadie se encamina hacia la salida. Esa es la parte bella de las clínicas, nadie hace pregunta cuando se entra y es normal que estén llenas de gente.
Sube en una anónima Clio negra con los vidrios polarizados apoyando con cuidado la bolsa sobre el asiento del pasajero y enciende el motor; con toda calma maneja saliendo del estacionamiento y se mete en la calle; nada, ni siquiera un temblor.
Pero es normal, matar seres humanos no le procura ningún tipo de emoción. Ya no más, al menos. Después de doce años pasados haciendo ese trabajo toda emoción se ha desvanecido, ha sido como un matrimonio. Al inicio todo parece ideal, sorprendente, cargado de expectativas, pero después llegan las facturas, el gasto, los impuestos y poco a poco la vida real y la normalidad abruman el amor y sofocan las emociones hasta que no queda nada más que la eficiencia de la realidad.
Aún así, ahora está en juego algo diferente, algo de lo que se ocupa muy raramente.
Estaciona el vehículo a algunos metros de distancia de una verja de hierro que se abre a un pequeño jardín.
Espía esa víctima desde hace tres meses, tanto tiempo hace que ya le parece conocerla como a sus bolsillos. Apaga el motor y espera, cuando obscurezca bajará del auto y podrá acercarse más.
Pero es solamente cuestión de horas antes de que pueda atacar y ha sido la misma víctima quien le ha proporcionado la mejor coartada.
Ric tenía razón. Es malditamente afortunado.
Italian to Spanish: I figli di Apollo General field: Art/Literary Detailed field: Poetry & Literature
Source text - Italian Settembre 2022
Spalancò la porta ed entrò come una furia, attraversando l’ingresso dell’appartamento con passo svelto e deciso. Il tintinnio dei suoi anfibi borchiati era un mero sottofondo per il caos che si sprigionava dalla smart tv da cento pollici, sintonizzata sul canale musicale.
Un ragazzo sedeva sul divano in tessuto blu; le mani dietro la testa che si accarezzavano distrattamente i capelli castani e gli occhi ramati che guardavano lo schermo con aria annoiata. Anche lui indossava anfibi borchiati, aveva le caviglie intrecciate e i talloni appoggiati su un pouf in pelle rossa.
Il fisico prestante gli permetteva di indossare con nonchalance la divisa di pelle nera dei Beta.
Si voltò a guardarlo quando lo sentì entrare e, vedendo l’espressione tesa nel viso d’angelo, chiese:
«Ehi Deck, tutto okay?»
Decklan passò accanto al divano e si diresse a lunghe falcate verso il mobile in noce che gli stava alle spalle.
«No Olly» ringhiò, furioso, «Non è tutto okay.»
Afferrò lo smartphone, che era posato accanto ad uno dei suoi libri di mitologia greca, e quasi lo strappò via dal caricatore, tanta era la rabbia che gli ardeva in corpo.
Oliver tirò giù i piedi dal pouf per seguirlo con lo sguardo.
«Che stai facendo?» gli chiese, appoggiando un braccio sullo schienale.
Ma Decklan non lo stava ascoltando, troppo preso da quello che gli passava per la testa.
Scorse la rubrica nel telefono fino a trovare il numero che cercava. Allora sfiorò lo schermo con il pollice, inviando la chiamata.
Si passò una mano tra capelli biondi, portandosi lo smartphone all’orecchio e contò quattro squilli, prima che una voce maschile, roca e autoritaria, rispondesse.
«Che vuoi?»
Decklan strinse gli occhi color rame, coprendoseli con una mano, e dovette prendere un lungo e profondo respiro per non riagganciare.
«Ho bisogno d’aiuto» disse.
L’uomo all’altro capo del telefono tacque per qualche istante; a Decklan sembrò di sentire il rumore della carta di una merendina.
«Apollo non mi ha detto niente» rispose masticando.
Decklan sospirò, stringendo il telefono nella mano.
«È personale.»
L’uomo rise.
«Ma non mi dire.»
Decklan sentì la rabbia montare, ma si morse la lingua, trattenendo tutti gli insulti che aveva voglia di gridare.
«Non ti avrei chiamato se non fosse davvero importante.»
«Di questo ne sono sicuro» ripose l’altro, masticando di nuovo, «Ma ti ho già salvato il culo troppe volte. È ora che impari a cavartela da solo.»
«Vaffanculo Dam» ringhiò, «Un’amica è nei casini.»
Damian rise di nuovo.
«Sei sempre stato un romanticone.»
«Non ho i mezzi per aiutarla. Ho bisogno del khrathos.»
Sentì Damian sospirare e una carta che veniva accartocciata.
«È umana?»
«No.»
«È dei tuoi?»
«Sì.»
Sospirò di nuovo.
«Va bene. Arriviamo ad Estia domattina.»
Translation - Spanish Septiembre 2022
Abrió la puerta de par en par y entró furioso, atravesando el ingreso del apartamento con paso rápido y decidido. El tintineo de sus botas pantaneras tachonadas era apenas prescindible en el caos que salía desde la smart tv de cien pulgadas, sintonizada en un canal de música.
Un muchacho estaba sentado sobre el sillón de color azul; las manos detrás de la cabeza acariciándose distraídamente sus cabellos castaños y los ojos cómplices que miraban la pantalla con aire aburrido. También él tenía botas pantaneras tachonadas, donde las piernas cruzadas y los talones apoyados sobre un pouf en piel color rosa.
Su físico bien formado le permitía vestirse con nonchalance la divisa de piel negra de los Beta.
Se volvió a mirarlo cuando lo oyó entrar y, viendo la expresión tensa en su rostro de ángel, le preguntó:
— ¿Hey Deck, todo bien?—
Decklan pasó a la par del sillón y servicio con grandes zancadas hacia el mueble en lugar que estaba a sus espaldas.
— No Olly. — gruñó, furioso. —No está todo bien. —
Aferró el smartphone, que estaba a la par de uno de sus libros de mitología griega, casi arrancándolo el cargador, tanta era la rabia que le ardía el cuerpo.
Oliver bajo los pies del pouf para seguirlo con la mirada.
— ¿Qué estás haciendo?— le preguntó, apoyando un brazo al respaldo.
Pero Decklan no lo estaba escuchando, demasiado atento a lo que le estaba pasando por la cabeza.
Controla rubrica de teléfono hasta encontrar el número que buscaba. Entonces rozó la pantalla con el pulgar, iniciando la llamada.
Se pasó una mano entre los cabellos rubios, llevándose el smartphone al oído y contó cuatro llamadas, antes de que una voz masculina, ronca y autoritaria, le respondiera.
— ¿Qué quieres?—
Decklan apretó sus ojos cobrizos, cubriéndose con una mano, y tuvo que hacer un enorme suspiro para no cerrar el teléfono.
— Necesito tu ayuda. — dice.
El hombre del otro lado del teléfono hizo silencio por algunos instantes, a Decklan le pareció de haber escuchado el ruido del papel de un aperitivo.
— Apolo no me ha dicho nada. — respondió mientras masticaba.
Decklan suspiró, apretando aún más el teléfono en su mano.
— Es personal. — respondió.
El hombre se rió.
—Y no me digas. —
Decklan sintió que el enojo le aumentaba, pero se mordió la lengua, reteniendo todos los insultos que deseaba gritar.
—No te habría llamado si no era realmente importante. —
—Esto es algo de lo cual estoy seguro. — respondió el otro, masticando de nuevo. — Pero te he salvado el culo demasiadas veces. Creo que sea ya la hora de que aprendas a librártela tú sólo. —
— ¡Vete a la mierda, Dam!— gruñó. — Una amiga está en problemas. —
Damián se rio de nuevo.
— Siempre ha sido un romántico. —
— No tengo los medios para poder ayudarla. Necesito del Khrathos. —
Escuchó a Damián suspirar y el rumor de un pedazo de papel que venía arrugado.
— ¿Es humana? —
— No. —
— ¿Es de los tuyos? —
— Si. —
Damián suspiró de nuevo, y respondió:
— Está bien. Llegaremos a Estia mañana por la mañana. —
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Claudio Valerio Gaetani (Ciudad de Guatemala, 25 de octubre de 1967) es un artista italo-guatemalteco, dedicado a la pintura, el diseño gráfico, la escritura, la poesía, la ensayística, el teatro y la Traducción Lieraria. Hijo de Marta Octavia Mena1 una escritora
y periodísta guatemalteca y Ludovico Gaetani, ingeniero y promotor de
la cultura y el teatro en Guatemala, creador de uno de los primeros
teatros independientes en Guatemala el Piccolo Teatro.
"Cole es arrojado desde su mundo al
nuestro y es confrontado por la confusión en la que vivimos, la cual
mucha gente considera normal. Es así como él aparece como anormal y lo
que sucede a su alrededor parece fruto del azar y extraño"
— Terry Gilliam
En el 1992 parte al exilio en Italia, su segunda patria, tomando
residencia en Nápoles, en dónde vive, trabajando, hasta noviembre del
2011 en que hace retorno a Guatemala. Durante su estadía en Nápoles, se
dedica al diseño gráfico publicitario y frecuenta cursos especialísticos
en la Universidad Carlo Cattaneo di Castellanza, Italia y en la Escuela de Ártes Gráficas de Como,
Italia, trabajando con artistas meridionales, colabora con la Academia
de Arte de Nápoles. Colaborando con artistas del diseño y la pintura
como Nini Sgambatti.,23 Marco de Luca4 con el que reinventa las viejas técnicas artísticas con el uso del mosaico.
En el 1996 inicia en Nápoles a promover entretenimiento en los
restaurantes introduciendo, Cena con Delito, un tipo de juego que
apareja el teatro como espectáculo interactivo al interno de una cena en
restaurante, siguiendo la tendencia creciente de los Murder Party en
los países anglosajones, inicia a producir y promover el teatro como
instrumento para la Cena con Delito, llegando en breve tiempo a ser uno
autor prolífico, sus obras, hoy en día traducidas en varios idiomas y
representadas en toda Europa y Estados Unidos como juego de sociedad en
sus variantes Murder Party,5 Mistery Dinners, etc.
Ha sido publicada con licencia libre GPL.
Desde el 2012 promotor y formador de actores y actrices en
Guatemala funda con la colaboración de grandes maestros de las artes
escénicas de Guatemala como Herbert Meneses, Alfredo Porras Smith, Marta Mena, Fabio Díaz y Carlos Molina la academia de "La Compañía del Crimen" con el apoyo de la Facultad de Humanidades de la Universidad de San Carlos de Guatemala,
el Ministerio de Educación y el Ministerio de Cultura Deporte y
Recreación de Guatemala, para formar docentes de expresión artística y
artistas de teatro en el país, promueve la educación de las artes
escénicas como materia obligatoria de las escuelas y colegios, enseñando
y fomentando el teatro como medio de desarrollo social.
Escritor en hierba en octubre 1990 recibe el reconocimiento como autor joven al Premio Literario de Unión Latina.,6
en el 1991 participa como escritor joven al Premio de Literatura Juan
Rulfo (FIL de Literatura) de la Feria Internacional de Libro de
Guadalajara.7
Críticas
Como
dijo el gran maestro Eduardo de Filippo "Basta que se hable", Claudio
Valerio Gaetani, posee ese don particular, el don de hacer hablar de él,
de sus métodos, de su carácter, de su poliédrica personalidad, existen
quienes no coinciden con su naturaleza y existen aquellos que aprenden
cada día de su exuberante personalidad, hay mucha tela que cortar, lo
cierto, es que Gaetani está dejando su huella en la historia del teatro.