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Translation Volume: 7 pages Completed: Jul 2007 Languages: Italian to English
text by art critic
A critical essay by a renowned art critic
Art, Arts & Crafts, Painting
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Sample translations submitted: 5
Italian to English: Alfred Krupp and the subversive choice of Capri General field: Art/Literary Detailed field: Poetry & Literature
Source text - Italian La presenza dell’industriale tedesco Alfred Krupp a Capri, tra il 1898 e il 1902, ha generato tantissimi articoli ed una notevole e crescente bibliografia: il dibattito intorno alla presenza del magnate tedesco sull’Isola è stato sempre, inevitabilmente, schiacciato sulla sua presunta omosessualità e sulle vere origini e ragioni di quello che verrà definito lo “Scandalo Krupp”.
Ciò che risulta più difficile è avvicinarsi alla figura di Krupp in maniera non stereotipata o non ripetitiva cercando, invece, di comprendere e spiegare le motivazioni più intime, più nascoste che lo portarono a scegliere Capri come patria elettiva.
In verità Alfred Krupp, che alla fine dell'Ottocento poteva considerarsi uno degli uomini più ricchi e potenti della Terra, tentò di crearsi, sull’Isola, una vita parallela se non alternativa a quella d'industriale dell'acciaio, sposato con due figli, rappresentante ed erede di una grande dinastia. Il suo tentativo fu perpetrato anche attraverso l'appassionata organizzazione, in collaborazione con gli scienziati dell'acquario di Napoli, di pesche abissali nel Golfo di Napoli d’indubbio valore scientifico, e attraverso il finanziamento e la realizzazione di una strada straordinaria, scolpita nelle rocce di Capri, che rimane a tutt’oggi un indiscusso capolavoro di simbiosi tra l’ingegno tecnico e l’ambiente naturale. Lungo la strada, che fu subito chiamata con il suo nome, il magnate tedesco fece sistemare e riattivare alcune grotte nelle quali s'intratteneva, in incontri conviviali, con i suoi amici capresi: intellettuali, pescatori e musicisti anche se la sua dimora caprese rimase, sempre e comunque, il Grand Hotel Quisisana.
La sua omosessualità repressa trovava sull'Isola un modo per manifestarsi attraverso donazioni e regali a giovani locali, alcuni dei quali divennero, probabilmente, suoi amanti o soltanto protetti, e certo non attraverso le colorite orge descritte in maniera scandalistica, con abbondanza di particolari, da alcuni giornali. Una malcelata e timida omosessualità diventò, quindi, un invitante pretesto per montare una campagna stampa internazionale contro il “re dei cannoni”.
L'incerta e contraddittoria personalità di Krupp fu travolta da un meccanismo che lui credeva di poter governare: in patria rappresentante di un capitalismo guerrafondaio e teso ad un crescente riarmo, sull'isola mediterranea idealista, ricercatore scientifico, benefattore e gaudente. Pagò con la vita, suicidandosi, questo suo utopico tentativo di sanare una contraddizione esistenziale.
Ciò che si evidenzia con più forza nell'intera vicenda, però, è il ruolo di un'isola, lontana dai cosiddetti centri del potere economico e politico, fuori quindi dalla possibilità di controllo e coercizione. Ciò che fu imputato a Krupp non fu tanto, o non solo, la sua omosessualità -- per altro molto diffusa in una Germania che la condannava per legge ma la tollerava presso altissime cariche dell'esercito e dello Stato -- ma l'aver concepito l'Isola quale scelta di vita antitetica, l'aver rotto schemi e disatteso regole creando, per questo, scandalo sia presso i suoi amici che presso i suoi avversari politici e di classe.
Lo “Scandalo Krupp”, in effetti, scoppia, più che altro, e contrariamente ad un'aneddotica che mette al centro e come causa principale dello stesso “scandalo” una lotta tra fazioni politiche capresi, in seguito ad un intervento esterno all'Isola attraverso la volontà di vari giornali di utilizzare, ideologicamente, i comportamenti o le cosiddette debolezze del magnate tedesco per una battaglia politica di ben più ampia dimensione.
Lo “scandalo” non sarebbe scoppiato, con la stessa virulenza e tragicità, se la scelta di vita dell'industriale si fosse indirizzata verso una località diversa o addirittura verso un'isola diversa: è innegabile che in questa vicenda il fantasma svetoniano, dell'Isola quale sede per antonomasia di degenerazione e perversione imperiale e di secessus dal centro di comando, abbia agito da straordinario lievito e da miscela esplosiva.
Ciò che il “ re dei cannoni” manifestò con chiarezza fu un'ostinata volontà tesa a spezzare un meccanismo di potere, stratificato e consolidato intorno alla sua figura.
L'Isola sembra essere stata scelta da Krupp, dunque, quale simbolo di una volontà eversiva e quale estremo strumento per cambiare un destino o una vita in gran parte già determinati da contingenze esterne e da percorsi e scelte obbligati.
È evidente, più che mai, in questa vicenda la contrapposizione tra la certezza della terraferma e la vaghezza e l'ambiguità dell'isola, non ancora solida terra e non più instabile elemento acquoreo, luogo dove il fluire del tempo e della storia, le stesse regole della natura, sembrano sospendersi. L'isola, anche per questo, si contrappone alla rigida divisione gerarchica, alla stanzialità e alla stabilità della polis: collettività solidale, riunita intorno a leggi e regole condivise e rispettate.
Krupp lancia dall'Isola un preciso messaggio di separazione, rottura, non continuità.
Pagherà in maniera durissima questa sua scelta.
Translation - English The sojourn of German industrialist Alfred Krupp in Capri, between 1898 and 1902, generated an abundance of articles, and a notable and growing bibliography: inevitably, any debate surrounding the presence of the German tycoon on the island was always suppressed when it came to his presumed homosexuality, and the true origins and reasons of what became known as the “Krupp Scandal”.
The most difficult task is to view the figure of Krupp from a non-stereotyped, innovative angle; and to try, instead, to understand and explain the most intimate and hidden reasons which led him to choose Capri as his elective home.
To tell the truth, Alfred Krupp (who, at the end of the Nineteenth century, could consider himself one of the richest and most powerful men on Earth), tried to build on this island a parallel, or even an alternative life, to that of the steel industry tycoon, married, with two children, representative and heir of a great dynasty. This attempt was also perpetrated through his enthusiastic organisation, together with some scientists of the Naples aquarium, of abyssal fishing of unquestionable scientific value in the Gulf of Naples. In addition, he financed the realisation of an extraordinary road, carved out from the rocks of Capri, which remains to this day an undisputed masterpiece of the symbiosis between technical genius and natural environment. Along the road, which was immediately named after him, the German magnate had some grottos equipped for the convivial entertainment of his local friends: intellectuals, fishermen and musicians; but his real home on the island always remained the Grand Hotel Quisisana.
His repressed homosexuality found an outlet on the island, through donations and gifts to local youths – some of whom probably became his lovers, or simply protégés – certainly not through the garish orgies, described in sensationalist terms and with a wealth of detail by certain newspaper. A veiled, shy homosexuality hence became an alluring pretext to mount an international press campaign against the “king of canons”.
The uncertain and contradictory personality of Krupp was crushed by a mechanism he thought he could govern: in his homeland a representative of a warmongering capitalism, in the throes of growing rearmament; on the Mediterranean island an idealist, scientific researcher, benefactor and pleasure seeker. He took his own life, to pay for his utopian attempt to rectify an existential contradiction.
Most striking in the entire story, however, is the role of the island, removed from the so-called centres of political and economic power, and therefore beyond the reach of control and coercion. Krupp was not so much – or not only – imputed with homosexuality (which incidentally was widespread in Germany, where it was condemned by the law but tolerated in the highest ranks of the State and of the armed forces); he was accused of having conceived the Island as a choice of antithetical life, of having broken moulds and infringed regulations, thereby creating a scandal both with his friends and with his political and class opponents.
Contrary to those anecdotes which place the responsibility and central role of these happenings on a fight between political factions of the island, the “Krupp scandal” exploded, above all, as a result of external manoeuvres: certain continental newspapers decided to exploit, ideologically, the conduct and so-called weaknesses of the German tycoon for much more ambitious political purposes.
The “scandal” would never have exploded with such virulence and tragedy had the industrialist chosen to live in a different locality, or even on a different island: in this whole story, the ghost of Suetonius, and of the Island as the seat par excellence of imperial degeneration, perversion, and of secessus from the centre of command, unquestionably added an extraordinary catalyst to the explosive mixture.
What the “king of canons” clearly manifested was an obstinate will to break the mechanism of power stratified and consolidated around his figure.
It seems, therefore, that Krupps chose the Island as a symbol of subversive will, and as an extreme instrument to change a fate or life which had, for the most part, already been decided by external circumstances, ineluctable courses and choices.
This story reveals, more than ever, the contrast between the certainty of the mainland and the vagueness and ambiguity of the island: neither solid ground nor unstable aqueous element, a place where the flow of time and history – the very rules of nature – seem suspended. This is one of the reasons why the island clashes with the rigid hierarchic division, permanence and stability of the polis: a solid community, gathered around shared and respected laws and regulations.
From the island, Krupp launched a precise message of separation, rupture, discontinuity.
He was to pay very dearly for this choice.
Italian to English: On a terrace in Posillipo General field: Art/Literary Detailed field: Art, Arts & Crafts, Painting
Source text - Italian In Terrazza a Posillipo
Ultimo in ordine cronologico del gruppo presentato dalla nostra galleria, il presente dipinto ben esemplifica le conquiste luministiche e compositive che caratterizzano la maturità del pittore.
E’ nuovamente il Golfo di Napoli l’ambientazione favorita, questa volta però Achenbach sceglie di rappresentare non un brano di vita pubblica colto in un vicolo o nel porto o in un parco, ma una scena di vita familiare, privata, in un pomeriggio di prima estate. Una rigogliosa terrazza signorile sovrasta dall’alto della collina di Posillipo la città partenopea, della quale scorgiamo, in alto a sinistra, la Certosa di San Martino e Castel Sant’Elmo, digradanti verso Pizzo Falcone e i giardini di Villa Reale; Castel dell’Ovo sembra solcare il mare come un veliero, legato solo da una sottile striscia di terra alla costa e in parte coperto dalla pianta nella giara che svetta sul parapetto della terrazza. Più lontano, immerso nella foschia sotto le nuvole, il Vesuvio sonnecchia fumante.
L’ideazione dell’impianto compositivo manifesta chiaramente un debito con il mondo del teatro, che Oswald Achenbach frequentò a lungo e nei suoi più svariati aspetti: fu infatti scenografo, decoratore, regista, ma anche attore e cantante. L’impianto scenico, a mo’ di quinte teatrali interposte, si coglie già dall’inquadratura: le piante ai due angoli opposti superiore ed inferiore incorniciano e delimitano il campo visivo, mentre il parapetto diagonale della terrazza separa nettamente il primo piano dallo sfondo panoramico creando una dicotomia tipica da scenografia teatrale: il primo piano pare un palcoscenico su cui i personaggi inscenano una muta commedia di sguardi; il secondo piano, il fondale, è riservato al brano paesaggistico; il taglio fotografico, però, e soprattutto il trattamento uniformante della luce, scomposta in mille riflessi dai colori perlati e smaglianti, unificano la visione.
L’utilizzo di due piani nettamente distinti era stato già introdotto nel dipinto Saltarellotanz mit Blick auf Castel Gandolfo (NON TRADURRE) ed è divenuto un modello ripreso più tardi in diverse occasioni; in particolare la Blick auf Rom von einer Platzanlage aus (NON TRADURRE), del 1893 è simile nell’impostazione al nostro dipinto: anche lì lo sfondo è reso indipendente da legami prospettici rispetto al primo piano grazie all’espediente del parapetto; è il forte rimpicciolimento delle proporzioni del paesaggio rispetto ai personaggi che permette di evocare l’illusione di una grande profondità. Anche qui più lo sguardo spazia in lontananza più le forme sfumano nell’orizzonte, senza contorni e confini lineari, i soggetti restano però sempre perfettamente riconoscibili; il colore compenetra e unifica tutti gli elementi del paesaggio in un’atmosfera brumosa ma luminosa.
Il punto di vista rialzato, che il pittore adotta nella maturità, a partire dagli anni ‘80, consente di dare maggiore evidenza ai personaggi, qui in perfetto equilibrio rispetto agli elementi architettonici e paesaggistici della veduta. Le figure umane infatti, in questa fase matura, hanno ormai acquisito un peso ed una preponderanza netta rispetto ai primi dipinti nei quali erano solo accessori, immersi nell’ elemento naturale dominante, come avviene nel nostro dipinto di Tivoli.
La scena rappresentata è insolitamente un “interno di vita borghese” seppur ambientato all’aria aperta. La sensazione però è quella di un hortus conclusus, un ambiente intimo e riservato ai membri di quell’ entourage familiare. I quattro personaggi entrano in relazione tra loro e con il panorama grazie al dialogo silenzioso di sguardi: la donna seduta è rivolta verso la bambina che a sua volta osserva il cardinale di spalle, il quale ricambia lo sguardo; mentre in piedi, al centro della scena, la terza elegantissima figura femminile che sorregge la bambola della bambina, un caratteristico carabiniere di pezza, fissa pensierosa un punto indefinito all’orizzonte guidandoci così verso il panorama dietro di lei. Significativo è che lo spettatore condivida lo stesso punto di vista dell’altro membro esterno al gruppo familiare: il cardinale, che, da un lato, lo introduce “in visita” alla famiglia; allo stesso tempo però, frapponendosi visivamente di spalle tra l’osservatore e gli altri personaggi, chiude lo spazio, non ne consente l’accesso completo e ne aumenta quindi la connotazione privata.
Significativa è anche la distribuzione della luce, altra derivazione teatrale, sul gruppo di figure: ancora una volta, come già avevamo potuto osservare nella Salita al convento sopra Sorrento, l’elemento religioso personificato dal cardinale è lasciato in ombra, quasi in una fase di meditazione, mentre le donne seppur non completamente esposte alla luce emergono grazie alle loro preziose e ricche vesti bianche che riflettono i raggi del sole e si illuminano.
Le forti tonalità aranciate e dorate e le atmosfere terse, come quella di Tivoli, utilizzate fino alla metà degli anni ’80, lasciano spazio, nonostante si tratti di una ambientazione pomeridiana, ad una luce più fredda, argentea, chiara; mentre i dettagli vengono sottolineati grazie alla continua alternanza di zone di luce e di ombra. Questo aumenta l’effetto di straniamento e la percezione di particolare raffinatezza ed artificiosità della scena. La stessa percezione la si coglie nella tipologia degli elementi naturali nella terrazza fiorita: è una natura “artificiale” e decorativa perché costruita appositamente per l’ambiente in cui è stata collocata, non spontanea ed è quindi in perfetta sintonia con la ricchezza tanto dell’elemento umano che di quello architettonico del decoro del parapetto, la giara e la statua, che ricorda quella de Im Park der Villa Borghese .
Da sottolineare il particolare trattamento della chioma dell’albero che occupa la parte superiore destra del dipinto: si tratta di veloci pennellate materiche giustapposte che ottengono un effetto di estrema modernità, molto vicino alla tecnica Impressionista.
Translation - English On a Terrace in Posillipo
The last - in chronological order - of the selection exhibited by our gallery, this painting is an excellent example of the mastery of light and composition which are typical of the artist in his maturity.
The favoured setting, once again, is the Gulf of Naples; this time, however, Achenbach has chosen to portray not a glimpse of public life - caught in an alley, or at the port, or in a park - but a private, domestic scene, in an early summer’s afternoon. A luxuriant and distinguished terrace at the top of the hill of Posillipo commands a view of the city of Naples; in the top left-hand corner we perceive the Certosa di San Martino and Castel Sant’Elmo, sloping down towards Pizzo Falcone and the gardens of Villa Reale; Castel dell’Ovo seems to plough the waves like a sailboat, with only a narrow strip of land joining it to the coast, and is partly masked by the plant in the two-handled vase standing high on the parapet of the terrace. Further away, shrouded in a haze beneath the clouds, Vesuvius smokes sleepily.
In devising the layout of this composition, Oswald Achenbach is clearly indebted to the theatre world, which he knew well - having, over time, been involved in its most varied aspects: in fact, he had worked as stage manager, set decorator, director, but also as actor and singer. The scene’s staging is already discernible from its frame, reminiscent of interposed theatre wings: the plants at two opposite corners, top and bottom, border and round off the visual field, while the diagonal parapet of the terrace sharply separates the foreground from the panoramic background, creating a typically theatrical dichotomy: the foreground is like a stage, on which a mute performance is enacted by the actors’ eyes; in the second plane, the “backdrop”, the landscape theme is played; the vision is nonetheless consolidated through a photographic approach, and especially through the consistent treatment of light, fragmented in a thousand reflections of shimmering, iridescent colour.
The use of two distinct planes had already been introduced in the painting Saltarellotanz mit Blick auf Castel Gandolfo , and became a model subsequently adopted on various occasions; in particular, in Blick auf Rom von einer Platzanlage aus , dated 1893, the arrangement is similar to our painting: once again the background is freed of perspective ties with the foreground by means of the parapet device; through the marked shrinking of the landscape in proportion to the personages, the illusion of great depth is achieved. Once again, the more the eye searches the distance, the more the forms melt into the horizon; with no outline or linear boundaries, the subjects still remain perfectly recognizable; colour permeates the landscape’s components, embracing them in a hazy, yet luminous, atmosphere.
The raised viewpoint, adopted by the artist as from the ‘80s, in the years of his maturity, confers greater relevance on the personages, which are seen here as harmoniously balanced with respect to the architectural and scenic elements of the veduta. In fact – in this mature phase – the human characters have gained consistency and a marked supremacy, compared to the early paintings, in which they were mere accessories, immersed in the dominating natural element, as seen in our Tivoli landscape.
Despite its outdoor setting, the scene depicted is, strangely, a “domestic interior of bourgeois life”. Its mood, however, is that of an hortus conclusus, an intimate environment, reserved to the members of the family’s entourage. The four protagonists relate to each other, and to the panorama, through the wordless dialogue of their eyes: the seated woman is turned towards the little girl; she, in turn, is watching the cardinal, who is returning her gaze, his back turned to them; standing at the centre of the scene, the third, exquisitely elegant female personage (holding the child’s doll, a typical “carabiniere” rag doll), is thoughtfully staring at an indefinite point on the horizon, thus guiding us towards the panorama behind her. It is significant that the viewer should share the same point of view as the other presence not belonging to the family group: the cardinal who, on the one hand introduces the “visitor” to the family - while on the other hand, with his back turned, he is virtually standing in the way, between the observer and the other characters, preventing complete access; and, consequently, enhancing the connotation of privacy.
Also significant is the distribution of light - another theatrical derivation – over the group of players: as already observed in the Ascent to the convent over the Gulf of Sorrento, the religious element - impersonated by the cardinal - is once again left in the shadows, almost engrossed in meditation; though not entirely bathed in light, the women emerge, their rich white robes sparkling, reflecting the rays of the sun.
The strong orange and gold tones and the polished mood adopted up to the mid ‘80s, as in the Tivoli landscape, give way to a cooler, silvery, pale light, despite the afternoon setting; while details are picked out by means of alternating zones of light and shade. The alienation effect is thus enhanced, along with the perception of the scene’s particularly sophisticated and affected flavour. The same impression is gathered from the nature of the flora depicted in the flowered terrace; its nature is “artificial”, decorative, especially devised for this setting: lacking spontaneity; hence, perfectly in keeping with the opulence of both the human aspect and the architectural elements, the frieze of the parapet, the two-handled vase and the statue, reminiscent of the one in Im Park der Villa Borghese .
Attention must be drawn to the special treatment of the tree’s foliage, taking up the upper right-hand side of the painting: thick-textured strokes of paint are applied in overlapping layers, obtaining an extremely modern effect, very close to the Impressionists’ technique.
Italian to English: "The Feline Comedy by Mozot" a novel by Ivana Trevisani Bach General field: Art/Literary Detailed field: Poetry & Literature
Source text - Italian Mentre Mozòt pronunciava queste parole, un fracasso di cani abbaianti, di zoccoli in corsa, di grida di richiamo, invase il tempio. Al galoppo, terrorizzato, un cervo dalle lunghe corna, correva inseguito da una feroce e indemoniata muta di cani. Mozòt, d’istinto, si incollò alla base della statua della Signora di Efeso e Martina si mise davanti a lui, per nasconderlo. La furia dei cani passò davanti a loro senza nemmeno notarli, tanto erano presi dall’inseguimento del cervo. Martina e Mozòt rimasero così, incollati alla statua, senza muoversi per un tempo lunghissimo. Poi, quando già stavano riprendendo coraggio, arrivò, improvvisa, una pioggia di frecce sibilanti sulle loro teste. Dall’altra parte del tempio una ragazzotta un po’ maschile, con i capelli scarmigliati tenuti insieme da una specie di falce di luna, stava tirando con l’arco tutte quelle frecce, una dietro l’altra. Nello stesso tempo, urlava richiami ai cani e sguaiate imprecazioni contro il cervo.
Poi, altrettanto velocemente come era comparso, tutto quel parapiglia si dileguò.
- Ah,… questo tempio è diventato invivibile!
La voce proveniva dalla statua a cui stavano appoggiati. Mozòt e Martina si girarono stupiti e videro che, in realtà, la dea della statua, la Signora di Efeso, era viva, ed era lei che stava parlando!
- Ma allora non sei una statua - disse Mozòt sorpreso - Grazie di averci protetto. Ci siamo presi un bello spavento!
...
Arrivarono davanti ad una dimora che si ergeva sopra ad una collinetta. Era diversa dalle altre, tutta bianca, con un colonnato marmoreo davanti all’ingresso. Pangur, seguito da Mozòt, salì i sette scalini che portavano al loggiato e si avvicinò ad una grande porta di bronzo socchiusa.
-Venite – disse Pangur - vi presento uno dei personaggi più importanti che abbiamo in questa via.
I ragazzi lo seguirono fino alla grande porta.
- Entrate! – disse un'aggraziata vocina dall’interno.
Entrarono e videro, mollemente coricata su un divano-triclinio coperto da cuscini rossi, una bellissima gatta bianca dal pelo lungo e dagli occhi gialli. Un'invisibile lampada la inondava di luce d’oro.
- Chi è? – chiese Martina, un po’ intimorita dalla regalità e dalla bellezza di quell’apparizione.
- E’ la famosa gatta bianca dell’imperatore Ottaviano Augusto- rispose con atteggiamento riverente Pangur.
- Non sapevo che l’imperatore Augusto amasse i gatti.
- Certo che mi amava… mi amava moltissimo!- lo interruppe la gatta bianca - ero io la più cara amica della sua vecchiaia. Per me Augusto Imperatore scrisse dei bellissimi versi.
A questo punto, la gatta si sedette ritta e fiera, alzò il muso verso l’alto, si schiarì la voce, ed cominciò a declamare teatralmente:
…
la mia gatta dal pelo lungo e dagli occhi gialli,
la più intima amica della mia vecchiaia,
lei, che non accetta obblighi più del dovuto
lei, il cui amore per me non è possessivo,
lei, che è mia pari, così come è pari agli dei
Lei che non mi chiede più di quello che son felice di darle!
Com’è delicata e raffinata la sua bellezza
Com’è nobile ed indipendente il suo spirito
Com’è straordinaria la sua abilità
di combinare la sua dipendenza con la sua libertà !
Translation - English While Mozot pronounced these words, a din of barking dogs, running hooves and shrieked calls invaded the temple. A long-horned deer galloped by, terrified, chased by a fiendish and ferocious pack of dogs. Instinctively, Mozot flattened himself against the base of the statue of the Lady of Ephesus, while Martina placed herself in front, to hide him. The furious pack of hounds passed without even noticing them, so intent were they in their pursuit of the deer. Martina and Mozot remained glued to the statue for a very long time, motionless. Then, just as they were beginning to recover their nerve, a sudden shower of arrows hissed overhead. On the other side of the temple a tomboyish lass, wearing a crescent-shaped head-band in her dishevelled hair, was shooting arrows with her bow, one after the other, while screaming at the dogs and hurling coarse abuse to the deer.
Then, just as suddenly as it had broken out, the commotion died away.
“Ah, this temple has become uninhabitable!” said a voice, originating from the statue they were leaning against. Startled, Mozot and Martina turned around and saw that the goddess of the statue, the Lady of Ephesus, was alive, and had spoken!
“So you’re not a statue at all!” said Mozot, nonplussed. “Thank you for protecting us. We were really scared!”
…
Reaching a hilltop, they stopped before a residence that differed from the others: it was all white, and had a marble colonnade in front of the entrance. Followed by Mozot, Pangur climbed the seven steps that led to the loggia, approaching a large, half-open bronze portal.
“Come,” said Pangur, “let me introduce you to one of the most important personages in this street.”
The children followed him up to the large door. “Come in!” said a pleasing voice from within.
As they entered they saw, reclining languidly on a triclinium covered in red cushions, and flooded with the golden light of an invisible lamp, a beautiful white long-haired she-cat with yellow eyes.
“Who’s that?” asked Martina, a little awed by the beauty and regality of that apparition.
“She’s the famous white cat of emperor Octavianus Augustus.” answered Pangus reverently.
“I didn’t know that emperor Augustus loved cats!”
“He certainly did… he loved me very much!” interjected the white cat. “In his old age I was his dearest friend. Emperor Augustus wrote some lovely verses for me.”
At this point, the cat sat up – erect and proud – and lifting her face upwards, cleared her voice and started to recite theatrically:
my long-haired cat with eyes of gold,
my dearest friend, as I grow old,
she spurns restriction when excessive
her love for me is ne’er possessive.
Equal she is, to the gods and me,
and only asks what I give gladly!
How delicate her beauty, how fine!
How noble her spirit, how free!
How admirably she combines
her dependence and her liberty!
Italian to English: Ten Little Frogs in the Snow -- at Christmas (a nursery rhyme by Simona Molino) General field: Art/Literary Detailed field: Poetry & Literature
Source text - Italian 10 ranocchi son tutti agitati
vanno felici sui campi innevati
Lasciando impronte bianche e leggere
guardan la neve che sta per cadere
il cuore palpita è un giorno speciale
è arrivato per tutti Natale
Canticchia Cra Cra
“ che arietta frizzante!”
che bella giornata!
sarà divertente
sciare, slittare e ancor pattinare
Lo stagno è tutto ghiacciato
pensa Verdello
sembra di pattinare
sopra un verde gelato!
Saltello e Puntino
saltan veloci sul loro slittino
-Din Din Din-suonano i campanellini
sfrecciando a zig zag veloci tra i pini.
Striscino sotto un abete schiaccia un pisolino
Gra gra quatto quatto tira un ramo con mano lesta
e una spruzzata di neve gli fa cader sopra la testa!
“Chi salta più in alto?”
Con voce sonante Cri Cri grida
e con la tavola ai piedi
inizia la sfida
prende la rampa e giù a rotta di collo...
vola nel cielo e dopo il decollo
atterra leggero sopra una duna...sorride il campione!
Ma che sfortuna, inciampa in Cro cro
-che faceva colazione-
rotolano insieme giù per la china
prendon la forma di una bianca pallina
che rotola e corre e piano si ferma.
Gli 8 ranocchi accorono lesti
e trovan gli amici imbiancati e un po pesti
che nella neve muovon gambette e braccini
e ridono e guardano il cielo
-Avete mai provato voi(?) cari bambini?-
e nel candido manto appare d'incanto...
un Angelo.
I 10 ranocchi sgambettano felici
i candidi fiocchi cadon sui visi
-se apri la bocca li puoi sentire
sopra la lingua piano sparire-
“amici é ora ti tornare!”
Van verso casa i 10 ranocchi
pensando solo ai loro balocchi
il naso è gelato ma
Nella pace della notte Santa
si ode lontano un soave coro che canta,
e scalda l'anima e il cuore
l'aria si riempe di neve e d'amore!
Questa novella volevo narrare!
A tutti voi un felice Natale!
Translation - English Ten little frogs, look at them go,
Excited and happy, to play in the snow
Footprints, light on the white ground
Snowflakes dancing all around
Froggy hearts are warm and gay:
It’s Christmas again: hip-hip-hurray!
Croaky sings a joyful hymn!
"What fun to skate instead of swim”
The air is crisp, it’s a lovely day.
Our happy froggies sing away
To skate, to sledge and – yay! – to ski!
Oh happy day for you and me!"
“The pond is frozen through and through,
It’s just the place for me and you!
Bring your skates, come on, quick, run,”
Cries Greeney “Now, let’s have some fun!”
Boppity Bob and Spotty his friend
Ride their sledge round a hairpin bend
-Ding-a-ding-ding, the silver bell chimes,
As they zigzag down through firs and pines.
Under a tree Ginger Johnny’s asleep
But Groggy makes a silent leap
and shaking a branch laden with snow
he showers poor Johnny down below.
“A snowboard-jumping competition?”
Launches Mick with great ambition.
And with their boards they all prepare
To take on Mick’s exciting dare.
Off the ramp at breakneck speed
Mick soars high. He’s in the lead!
On thick snow he safely lands.
The champion grins, they all clap hands!
But Mick bumps into Tommy’s back,
And overturns his breakfast snack!
Down the slope they roll and fall,
Until they make a round snowball
That spins then slows before it stops.
Eight froggies rush with hasty hops
To find them laughing on the ground
Snow-clad and shaken, safe and sound.
With outstretched legs and arms they make
A winged and long-robed angel shape
And you, dear children, will you go
And make more angels in the snow?
Ten frogs play a brand-new game:
“Catch a snowflake” is its name.
On outstretched tongues the flakes are felt
To lightly land and slowly melt.
“Friends, it’s time! We have to go!”
They all hop back in rowdy row
Noses frozen, spirits high,
For there’ll be presents, by and by!
Oh Holy Night, peaceful and clear
The sound of carols fills the air
Hearts are filled with light and love
While snowflakes fall from up above.
And here’s my wish for girl and boy:
A Christmas blessed with peace and joy!
Italian to English: Lodi Castle. A Subterranean History (by Davide Tansini) General field: Art/Literary Detailed field: History
Source text - Italian Lodi: città dell’Italia settentrionale, situata nella pianura lombarda lungo le sponde del fiume Adda, 20 chilometri circa a Sud-Est di Milano. Rintracciare quello che era chiamato Castello di Porta Regale non è difficile. Una torre cilindrica svetta sopra una scarpata che cinge il centro storico, al limite Ovest della città medievale: è il Torrione, uno dei simboli di Lodi. Dal suo basamento, risalente al XV secolo, partono due massicce cortine murarie racchiuse da un fossato asciutto: una cortina si dirige verso Sud-Sud-Est e termina con una torre portaia, vicina allo scomparso accesso cittadino di Porta Regale (da cui il Castello prese il nome); l’altra cortina si dirige verso Est-Nord-Est e segue la scarpata fino a raggiungere una piazza. Qui svolta verso Sud-Sud-Est dopo essersi abbassata bruscamente fino al livello della piazza: interrotta da un risalto che sporge verso il centro cittadino, la struttura muraria prosegue a margine della piazza e si perde sotto una delle strade adiacenti. Fra queste muraglie trova oggi spazio la Questura, alloggiata in una caserma costruita nel XVIII secolo là dove sorgeva la corte del Castello medievale.
Se non è difficile individuare l’antico fortilizio, più complesse sono le vicende e le stratificazioni architettoniche che lo hanno coinvolto, anche perché Porta Regale ed i suoi dintorni sono strettamente legati all’origine di Lodi stessa.
Nel 1158 le truppe del Comune di Milano distrussero la città di Laus. L’atto suscitò la reazione dell’imperatore Federico I Barbarossa, ostile alla politica espansionistica di Milano: Federico concesse ai Lodigiani di ricostruire e fortificare la loro città, però spostandola presso la sponda occidentale dell’Adda. Per il nuovo sito fu scelto il colle Eghezzone: un promontorio elevato sulla valle golenale del fiume e circondato su tre lati da paludi (è la scarpata su cui sorge il Castello stesso).
Lodi fu fortemente condizionata dalla vicinanza con Milano, anche per quanto riguarda le fortificazioni ed il loro posizionamento. Proprio perché importante centro economico, politico, religioso e militare, il capoluogo lombardo polarizzò molti fortilizi del territorio circostante determinandone la dislocazione: pro o contro Milano. È uno dei motivi per cui a Lodi fin dal XII secolo la zona di Porta Regale fu ritenuta vantaggiosa per ospitarvi capisaldi fortificati: non soltanto perché collocata sulla scarpata (quindi, più elevata e meglio difendibile), ma anche perché più vicina a Milano.
Almeno fino al XIV secolo le testimonianze sulle fortificazioni di quest’area sono scarne: semplici menzioni, come quella di un «castello» fatto erigere nel 1270 dal milanese Napo Della Torre, anziano del popolo e podestà. Sono vicende underground, nascoste dalle molte trasformazioni subite dall’area nel corso dei secoli, e che lasciano il posto ad informazioni più concrete con l’avvento di un casato che dominò la Lombardia fra XIV e XV secolo: quello dei Visconti.
Nel 1335 Azzone Visconti fu proclamato signore di Lodi, portando definitivamente la città nell’orbita milanese. La difesa militare fu una costante preoccupazione per la nuova signoria (i domini viscontei si espansero ripetutamente nel corso del Trecento), ma non c’erano soltanto nemici esterni da considerare: repressione delle rivolte interne, rappresentazione del potere signorile, necessità di basi logistiche e di sedi temporanee per la corte erano tutti validi motivi che potevano indurre alla costruzione di un castello cittadino. Così, la famiglia Visconti intervenne anche a Lodi. Secondo lo storico rinascimentale Bernardino Corio fu Bernabò a ordinare l’edificazione dell’attuale Castello di Porta Regale nel 1370.
Translation - English Lodi is a Northern-Italian city located in the Lombard Plain along the banks of the river Adda, 20 km southeast of Milan. Tracing what used to be called the Castle of Porta Regale is not difficult. A cylindrical tower soars above the escarpment surrounding the old town, on the West side of the medieval city: this is the ‘Torrione’, a symbol of Lodi. From its foundation, dating back to the XV century, depart two massive masonry defensive walls enclosed within a moat: one of these runs SSE, ending with an entrance tower close to the former site of the city gate, Porta Regale, which the castle was named after and which no longer exists; the other defensive wall stretches ENE along the escarpment until it reaches a square. Here it turns SSE after a sharp drop to the level of the square. Interrupted by an overhang protruding towards the city centre, the wall structure continues to the edge of the square and disappears underneath one of the adjacent streets. The police headquarters are now housed in barracks built in the XVIII century within these walls, on the former site of the Court of the medieval castle.
While the location of the ancient Fort is easily identified, the historical ups and downs, and the architectural layers of the castle of Porta Regale and its surroundings, are far more complex – partly because they are so closely interwoven with the origins of Lodi.
In 1158 the troops of the city-state of Milan destroyed the city of Laus. This caused the reaction of Emperor Frederick I Barbarossa, who opposed the expansionist policy of Milan: Frederick granted the Lodigiani permission to rebuild and fortify their city, but ordered that it be moved to the western bank of the river Adda. The site chosen for this purpose was Col Eghezzone, a high promontory overlooking the river’s alluvial valley, and surrounded on three sides by marshes (i.e. the escarpment on which the Castle stands to this very day).
Lodi was heavily conditioned by its proximity to Milan, also with regard to its fortifications and their placement. Indeed, because of its important economic, political, religious and military role, the Lombard capital polarised many forts in the surrounding area, determining their orientation: pro or contro Milan. And so, back in the XII century, the Porta Regale area in Lodi was deemed suitable for fortified strongholds: not only because of its location on the escarpment (i.e., higher up and more easily defendable), but also because it lay closer to Milan.
At least until the XIV century, historical records on the fortifications of this area are limited to simple quotes, such as that of a 'castle' built in 1270 by the Milanese Napo Della Torre, Senior Consul and Podestà. Underground stories, concealed by the many transformations that the area underwent over the centuries. These give way to more concrete information with the advent of a noble dynasty that dominated Lombardy between the XIV and XV centuries: the Visconti.
In 1335 Azzone Visconti was proclaimed Lord of Lodi, which brought the city into the Milanese orbit. Military defence was a constant concern for the new Lordship (the domains of the Visconti expanded repeatedly during the XIV century). External enemies weren’t their only problem, however: there were insurgencies to subdue; the imposition of the power of the State; the need for logistical bases, and temporary headquarters for the Court: all good reasons for building a castle in the city. And so the Visconti family played a crucial role in Lodi: according to Renaissance historian Bernardino Corio, it was Bernabò who ordered the construction of the current Porta Reale Castle in 1370.
Born in London to British parents and
raised bilingual in Italy, Sarah
Jane Webb grew up in a house full of books and developed a passion
for reading and writing. After several years as a PA Secretary, first in London
then in Milan, she left office work, acquired a teaching certificate, and
started teaching English and translating commercial and creative texts. In 2006
she moved with her partner and cats to a hilltop hamlet in sunny Liguria, where
she switched to translating narrative.
Over the years, Sarah Jane Webb has
translated various books:
The Feline Comedy by Mozot (M. Ivana
Trevisani)
Burn Slowly (Fabio Casto)
Cats (Flavia Capra)
Impermanence (Daniel Frisano)
The Memory of Events (Carlo Giuseppe
Zuozo)
The King of Cats (B.F. Barbantini and A.
Raso)
The Scent of a Family (Alessandra
Cortese)
and various
others still in the pipeline.
Sarah Jane Webb
specialises in the translation and editing of short fiction and novel excerpts.
Her work has appeared in several Anglophone publications, including The Sunday
Times’ Crime Club; Akashic Books’ Fri-SciFi; Speculative Fiction
in Translation; 50-Word Stories; Trafika Europe; Words Without Borders; Sunspot Lit; Global
Science (published by ASI, the Italian Space Agency).
She also translates poetry, nursery
rhymes, videogames, game-books, role-playing books, as well
as creative non-fiction.
In 2018, she contacted a number of emerging
and established Italian authors and invited them to contribute some micro-narrative,
which she then translated, giving life to a small anthology of Italian
speculative fiction. In 2019, her
translation of stories by Simonetta Olivo, Emanuela Valentini and
Francesco Verso were showcased in Words Without Borders.
Other authors involved in the project were: Cleide Bartolotti, Dario Tonani, Franci
Conforti, Laura Scaramozzino, Linda De Santi, Lorenzo Crescentini, Maico
Morellini, Naiche Anderson, Nicoletta Vallorani, Piero Schiavo Campo, Stefano
Teatini, Carlo Vincenzi, Valeria Barbera. These featured earlier the same year
in the genre-specific webazine Speculative Fiction in Translation run by
Rachel S. Cordasco.