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Arabic to Italian: Jordan translation Detailed field: Journalism
Source text - Arabic سينشر جلالة الملك عبد الله الثاني في شهر أيار من العام المقبل مذكراته في كتاباً يركز على جهود تحقيق السلام في شرق الاوسط, في الوقت الذي تضيق فيه الفرصة المتاحة للوصول إلى حل للصراع وتبرز ضرورة التحرك بفاعلية لاستغلال هذه الفرصة.
و يسرد جلالته في الكتاب أيضا تفاصيل محطات لافتة في حياته, إضافة إلى رؤيته المستقبلية للمملكة وكيفية التعامل مع التحديات الرئيسة التي تواجه المنطقة.
و يصدر الكتاب باللغتين العربية والانجليزية ولغات عدة في نفس الو قت. وحصلت دار فايكنغ, وهي إحدى كبريات دور النشر في العالم, على حقوق نشر الكتاب باللغة الإنجليزية.
Translation - Italian His majesty King Abdullah II will publish his memoir in May of next year in a book that focus on the efforts made to reach the peace in the Middle East, in the time in which the occasion to get to the conclusion of the conflict becomes narrower. It is moreover explained the necessity to effectively move to benefit of this occasion.
In said book the King narrates remarkable events in his life, in addition to his future vision about the kingdom and to the kind of cooperation in the main challenges the zone has to face.
The book will be published in Arabic, English and in many other languages at the same time. Viking Press which is one of the world's largest publishing houses held the rights to publish the English edition of the memoir.
Arabic to Italian: الشـــروط الخاصـــة General field: Law/Patents Detailed field: Law (general)
Source text - Arabic تمهيــد
إن الغرض من الشروط الخاصة هو:-
أ. الهدف الإستراتيجي لجهاز الطرق الحديدية هو ضمان تنفيذ وتشغيل شبكة طـرق حديدية
متوائمة وموحدة لمنظومتي الإشارات والاتصالات والتغذية بالطاقة لخط (سرت – رأس اجدير) وخط (الهيشة – سبها) .
ب- تعتبر الشروط الخاصة الواردة بهذا الملحق جزءاً لايتجزاء من العقد .
ج- تحديد، بتفصيل أكثر، أحكام شروط هذا العقد الخاصة واللازمة لتنفيذ تصميم، وتصنيــع، وتركيب، واختبــار، وتسليــم، وتجــريب المعـدات الخاصة بمشروع الطرق الحديدية الليبية التي يغطيها العقد.
د- تحديد أدوار وعلاقة أية أطراف ثالثة أخرى، مثلا المهنــدس، وكالـة التفتيش،
والتفاعل مع العقود الأخرى، إلخ.
هـ- على المقاول تنفيذ العمل بما يضمن تكامل الخط المستهدف تنفيذه مع باقي الشبكة مستقبلاً .
و- على المقاول التقيد بما هو وارد بالتصاميم والمواصفات الفنية المعدة من قبل المصمم ( استشاري الجهاز ) والرجوع الى الطاقم الفني بالجهاز في حالة اقتراح القيام بأى تعديل في الخصوص للحصول على الموافقة .
Translation - Italian Condizioni speciali
Obiettivi delle condizioni speciali
a) L’obiettivo strategico dell’allestimento della linea ferroviaria è dato dall’impegno a realizzare e mettere in funzione la quest’ultima, in combinazione con i sistemi di segnalazione e intercomunicazione e quelli di fornitura di energia in riferimento alla tratta X e alla tratta Y
b) Le condizioni speciali riportate nel presente allegato sono considerate parte inscindibile del Contratto.
c) Determinare nella maniera più precisa possibile quanto previsto dalle disposizioni speciali di questo contratto necessarie per realizzare la progettazione, la fabbricazione, l’installazione, le prove, la consegna, il collaudo delle attrezzature relative al progetto della linea ferroviaria libica riportato nel presente Contratto.
d) Determinare le funzioni e le relazioni di terzi, quali l’ingegnere, l’ente di supervisione, l’interazione con altri contratti, eccetera…
e) L’imprenditore ha il dovere di svolgere i lavori garantendo l’integrazione della linea ferroviaria prevista dal presente Contratto con gli altri punti della rete ferroviaria.
f) L’imprenditore è vincolato a quanto riportato nella progettazione e nelle disposizioni tecniche allestite dal progettista (consulente per conto dell’ente) e deve rivolgersi all’equipe tecnica dell’ente in caso di proposte di modifiche, in merito all’ottenimento dell’autorizzazione.
Spanish to Italian: Viajes y Marketing General field: Marketing Detailed field: Tourism & Travel
Source text - Spanish TURÍSTICO
Viajes Eroski no teme a Caprabo y descarta que le vaya a canibalizar
Ambos pertenecen al mismo grupo, utilizan la misma tecnología en sus portales online y comparten hasta proveedores pero pese a ello Viajes Eroski no tiene ningún miedo a la reciente irrupción de Caprabo (viajescaprabo.es) en el sector de la intermediación turística. Es más, la minorista que dirige Eduardo Urcelay descarta que la cadena catalana le vaya a canibalizar.
A su juicio, el “único sitio” en el que puede haber “un poco más de conflicto” es en Navarra, aunque reitera que no van a compartir clientes “porque estamos enfocados a públicos distintos”. De hecho, Perea señala que ven a Viajes Caprabo más como “un complemento que como un competidor”. El director de Marketing de Viajes Eroski apunta un dato más para descartar que vayan a ser rivales y es el poco peso que tiene a día de hoy el canal online para Viajes Eroski.
Ciertamente Caprabo se lanzó el jueves pasado al sector de la intermediación turística básicamente como agencia de viajes online pese a contar también con tres oficinas situadas en otros tantos centros comerciales de la provincia de Barcelona. Según explica Oliver Perea a este digital se trata de “algo temporal, para probar cómo funcionan”. Será a final del verano cuando se evalúe su rendimiento y se decida si se mantienen, se eliminan o incluso si se abren nuevos puntos.
Translation - Italian TURISTICO
Viaggi Eroski non teme Caprabo e non crede che verranno sopraffatti.
Entrambi appartengono allo stesso gruppo, utilizzano la stessa tecnologia nei loro portali online e incluso condividono gli stessi fornitori per nonostante questo, Viaggi Eroski non ha nessuna paura della recente incursione di Capravo (viajescaprabo.es) nel settore della intermediazione turistica. Inoltre, il rivenditore che gestisce Eduardo Urcelay non contempla l’ipotesi che la catena catalana possa avere la meglio su di loro.
Secondo la sua opinione, l’”unico posto” nel quale si possa avere “un po piu di conflitto” è in Navarra, pur ribadendo che non compartiranno i clienti “perchè sono concentrati verso un pubblico differente”. Di fatto, Perea fa notare che vedono Viaggi Caprabo piu come un complementare che come un concorrente”. Il direttore Marketing di Viaggi Eroski appunta un dato in piu per scartare l’ipotesi che possano essere rivali ed è il poco peso che ha oggi giorno il canale online per Viaggi Eroski.
Certamente Giovedi scorso, Caprabo si è lanciato nel settore dell’intermediazione turistica basicamente come agenzia di viaggi online pur avendo tre uffici situati in altrettanti centri commerciali della provincia di Barcellona. Secondo quando spiega Oliver Perea a questo giornale digitale, si tratta di “qualcosa temporaneo per vedere come funziona”. Sara’ a fine estate quando si valuterà il suo rendimento e si deciderà se si manterrà, se si eliminerà o addirittura se si apriranno nuove sedi.
Spanish to Italian: Construcción General field: Tech/Engineering Detailed field: Construction / Civil Engineering
Source text - Spanish TÉCNICO I (Construcción hospital)
Ventanas
Ventanas correderas de aluminio y paños de vidrio en elementos fijos.
Las ventanas estarán provistas de mosquiteras y rejillas metálicas de protección.
En las salas de radiología, las ventanas tendrán una lámina protectora de plomo con arreglo a la normativa del país.
Perímetro de la parcela
El recinto del hospital estará vallado para una mayor seguridad. La práctica totalidad del perímetro de la parcela irá rodeado por un cerramiento a base de malla galvanizada de torsión simple. En los accesos se construirá un muro perimetral compuesto de bloques de hormigón y con acabado de mortero monocapa.
Las verjas de acceso estarán compuestas por perfiles metálicos y se diseñarán con solidez para evitar que puedan desplomarse. Por razones de seguridad, los accesos principales serán los únicos puntos de entrada al hospital. En dichos accesos se ubicarán pequeños controles de seguridad.
El sistema antirrobo se tendrá en cuenta a la hora de diseñar todos los elementos perimetrales, dándole prioridad a la permeabilidad visual y la ausencia de elementos susceptibles de ser escalados como árboles, etc.
Translation - Italian TECNICO I COSTRUZIONE OSPEDALE
Finestre
Finestre scorrevoli di alluminio e pannelli di vetro in elementi fissi.
Le finestre saranno dotate di zanzariere e griglie metalliche di protezione.
Nelle sale di radiologia, le finestre avranno un foglio protettivo di piombo conformi alle regole del paese.
Perimetro del terreno
L’area dell’ospedale sarà recintata per una maggiore sicurezza. L’intero perimetro dell’area sarà circondato da una recinzione zincata di semplice torsione. Agli ingressi verrà costruito un muro perimetrale composto di blocchi di cemento e finitura monostrato di malta.
Le porte di accesso saranno costituite da profili metallici e verranno progettati solidamente per impedire il loro collasso. Per motivi di sicurezza, gli accessi principali saranno gli unici punti di ingresso all’ospedale. In tali accessi si troveranno piccoli controlli di sicurezza.
Il sistema anti-furtoverrà preso in considerazione durante la progettazione di tutti gli elementi esterni, dando la priorità alla permeabilità visiva e l'assenza di elementi suscettibili che potrebbero essere scalati come alberi, ecc.
English to Italian: User's manual General field: Tech/Engineering Detailed field: Electronics / Elect Eng
Source text - English
The power adapter supplied with the camera is for exclusive use with this camera.
"Specifications and external dimensions are subject to change without notice.
"
Sensor-Shift Type (also in Handheld Night mode)
Electronic movie shake reduction
View finder
Electronic view finder with approx. 200,000 dots
(Wide-angle only)
Detection of up to 12 people’s faces, Smile, Blink
(in shooting mode only)
- This battery may present a fire or chemical burn hazard if mistreated.
- WARNING - Risk of fire, burns and explosion. Do not short, open, disassemble, crush, incinerate or expose to heat above 140°F/60°C.
- Recharge according to user manual.
- Dispose of used battery properly.
Translation - Italian L'adattatore di corrente in dotazione con la fotocamera è per uso esclusivo con questa fotocamera.
Specifiche e dimensioni esterne sono soggette a modifiche senza preavviso.
Sensore anti movimento (anche in modalità manuale notturna)
Riduzione antivibrazione elettronica
Mirino
Mirino elettronico con ca. 200.000 punti
(Solo grandangolo)
Rilevamento dei volti fino a 12 persone, sorriso, occhi chiusi
(in modalità di solo scatto)
Questa batteria può presentare rischio di incendi.
ATTENZIONE - Pericolo di incendi, ustioni e di esplosione. Non bere, aprire, smontare, schiacciare, bruciare o esporre al calore al di sopra di 140 ° F/60 ° C.
Ricarica in base al manuale utente.
Smaltire le batterie usate correttamente.
English to Italian: between fragile transition and war in the shadows General field: Social Sciences Detailed field: Journalism
Source text - English Yemen: between fragile transition and war in the shadows
While international attention is paid throughout to the Syrian problem, other countries are forgotten, although they are facing a similar situation for some time without seeing real improvements. Not now that the "civil war" in Syria is not remarkable, but the Yemeni society for some time into the abyss, is not taken into account either by the media and the news which is coming few and confused.
In November 2011 in Riyadh a political transition supported by GCC, the United States and the United Nations was started, which saw the transfer of power after thirty years of the now former Rais 'Ali Abdullah Saleh to his deputy' Abd Eabbuh Mansur al - Hadi.
Al - Hadi has been chosen with the task of guiding the country towards a transition for the next two years, receiving the consent not only of the majority and the parliamentary opposition, but also by a party of revolutionaries and the military.
But what seemed to be the main problem of the country, namely removing President Saleh, proved to be just one of many in a country that needs help: this land, the poorest among the Arabs as well as being one of the poorest in the world , is a tribal society and conservative with a large number of illiterate and unemployed people living on less than $ 2 a day.
According to UNICEF, the situation is dire, and malnutrition, due to war, invaded the territory of leading the country, together with Afghanistan, topped the charts as the country with the highest level of malnutrition, where hundreds of thousands of children at risk of starvation and many are malnourished despite the funds made available by Saudi Arabia and the United States.
The UN special envoy to Yemen, Jamal Benomar, May 29 last reported to the Security Council that the transition in Yemen is going through a number of serious concerns and factors such as security, the humanitarian crisis of major proportions and conflicts throughout unresolved, not to mention the main threat of the country, al - Qaeda.
Within this framework, President al - Hadi aims to organize a national dialogue between the multitude of political blocs competing against each other, laying the groundwork for a new constitution and new reforms, including the army and the forces safety, all in preparation for multi-party democratic elections to be held in 2014.
Not an easy task as within the country, a secessionist movement in the South, the rebellion of the North Zaydis groups, the activities of terrorist cells, military divisions that continue to hinder the transfer of political power, the struggle between the tribes who sees the Hashad against Baqil, then al-Qahtan and al-Obeida against al-Damashqa, which were loyal to the president and have always been present in all the key roles of security, are straining the country dragging Yemen into a civil war. Not to mention that the shadow of the former Rais sails always on the State, having regard to its influence and control over certain strategic locations such as the security forces.
On the other hand, the expansion dell'AQAP, al - Qaeda in the Arabian Peninsula, with its local arm, Ansar Al - Sharia, which primarily operates along the coast of the Gulf of Aden, mainly in the governorate of Abyan, has become the main problem.
The terrorist organization has recently managed to take control of several strategic areas and to control various regions and that is why the current president al - Hadi, in recent months, to counter the advance, has deployed six military brigades in the south, well over 10,000 military units have also received the support of the American forces and drones, to try to regain control of areas lost.
Although, during June important victories were reported, that have allowed us to regain control of some areas, bringing optimism and confidence, al - Qaeda can safely move and relocate in the country organizing new tactics and offensive.
The Special Envoy of the United Nations Benomar reminds the UN Security Council as it is now a high level of conflict in the country, citing the suicide bombing that occurred in this period in the capital Sana'a during a military parade, killing three hundred soldiers and wounding nine or killing a recruits when was leaving a barracks.
These attempts by the organization show that the problem is widespread throughout the country and it is very difficult to eradicate without outside help, the intensification of activities against targets international and regional threaten to collapse the agreement signed in November in Saudi Saudi Arabia and the fragile political transition supported by the United States, GCC and the UN.
Also recently, according to sources from the Ministry of Yemen, the controls were identified because there is great fear for the infiltration of extremists and terrorists from entering the country from Somalia with displaced persons seeking asylum for humanitarian cause.
That's why for the first time on June 27th last year, without mincing words, the Yemeni Foreign Minister Abu Bakr al - Kurbi admitted that Yemen has explicitly requested the intervention of the U.S. drones for "special cases" and hit certain strategic points of al - Qaeda.
Given the strategic importance of the village, overlooking not only the Indian Ocean but also on the Red Sea, and placed in front of the Horn of Africa, the United States and Saudi Arabia seek to intervene in the shadows to avoid attracting too attention and safeguard not only tons of oil that pass through these waters every day to be spread all over the world, but also other interests such as military bases deployed around the region of Yemen.
The White House said that the membership of al - Qaeda in Yemen is the main international threat to America exists and we have to fight to eliminate it, that is why the U.S. Army and the CIA are coordinating a campaign where they are separate but related used special forces, cruise missiles fired from ships and used the drones.
According to the Los Angeles Times a contingent of at least twenty special operations troops stationed in the country using eavesdropping, satellite imagery, video drones and other technical means to identify terrorists and strike them.
Much of the coordination of military operations in Yemen is in Djibouti at Camp Lemonier, a U.S. military base, where there are eight F-15 fighter aircraft and drones, which are always kept ready for takeoff, not far from Yemeni territory, or the Seychelles and Ethiopia.
The direct military role in Yemen the Obama administration is broader than previously reported and than you might think, and it is a deep involvement in the growing conflict that threatens the collapse of the nation and drag the United States into the umpteenth conflict.
Meanwhile, Yemeni President Abd Rabbu Mansour Hadi has recently decreed the replacement of several officers in charge of the security forces, and holders of certain ministries. Decision came after the attack on the Defence Minister, Muhammad Nasir Ahmad, which resulted in the deaths of eleven people in the center of the capital Sana'a, which aims to reduce the influence of the former head of state, Ali Abdullah Saleh in the country.
Measure that tries to calm the thousands of people took to the streets recently in Sana'a to demand that Saleh be put on trial for corruption and for accountability in the killing of protesters during anti-government protests last year.
The main ministries that are affected by the order of Petroleum, headed by Ahmed Dares, and that of higher education, replaced by Hesham Sharaf. Also replaced the chief of military intelligence and national security, loyalists of former President Saleh, in their place were named respectively the Yafie Ahmed, a senior official of the Ministry of Defense, Ali Hassan al-Ahmadi, former governor of the southern province of Shabwa.
Also replaced the head of the presidential office and the secretary general of Hadi, positions hours entrusted by the Head of State Nasr Taha Mustafa, a former director of the news agency.
However there will be many challenges facing the nascent government of the country in restoring stability and security in Yemen, and what is certain is that alone it will not be able to eradicate this "disease" which is now widespread throughout the country.
Translation - Italian Yemen: tra la fragile transizione e la guerra nell'ombra
Mentre l’attenzione internazionale è rivolta tutta verso il problema siriano, vengono dimenticati altri paesi che stanno attraversando una situazione simile ormai da tempo senza vedere miglioramenti concreti. La società yemenita, ormai da qualche tempo nel baratro, non viene presa in considerazione dai mezzi di comunicazione e le notizie che arrivano sono poche e confuse.
Nel novembre 2011 a Ryad è stata avviata la transizione politica appoggiata da GCC, Stati Uniti e Nazioni Unite che ha visto il trasferimento dei poteri dopo trentatré anni del ormai ex Rais ‘Ali Abdullah Saleh, al suo vice ‘Abd Rabbuh Mansur al-Hadi. ‘Abd Rabbuh Mansur al-Hadi è stato scelto con il compito di guidare il paese verso una transizione per i prossimi due anni, ricevendo il consenso non solo della maggioranza e dell’opposizione parlamentare ma anche di una parte dei rivoluzionari e dei militari. Ma quello che sembrava il problema principale del paese, ovvero destituire il presidente Saleh, si è rivelato solo uno dei tanti in una nazione che ha bisogno di aiuto: questa terra, la più povera tra quelle arabe oltre ad essere una delle più povere al mondo, è una società tribale e conservatrice con un numero elevatissimo di analfabeti e disoccupati che vivono con meno di 2 dollari al giorno. Secondo l’Unicef la situazione è disastrosa e la malnutrizione, complice la guerra, ha invaso tutto il territorio portando il paese, insieme all’Afghanistan, in cima alle classifiche come paese con il più alto livello di malnutrizione, dove centinaia di migliaia di bambini rischiano la morte per fame e altrettanti sono malnutriti, nonostante i finanziamenti messi a disposizione da Arabia Saudita e Stati Uniti.
L’inviato speciale dell’ONU per lo Yemen, Jamal Benomar, il 29 maggio scorso ha riferito al Consiglio di Sicurezza che la transizione in Yemen sta avvenendo attraverso una serie di gravi fattori di preoccupazione quali la sicurezza, la crisi umanitaria di grandi proporzioni e conflitti in tutto il territorio non risolti, senza dimenticare la principale minaccia del paese, al-Qaeda. All’interno di questa cornice, il presidente al-Hadi ha l’obiettivo di organizzare un dialogo nazionale tra la moltitudine di blocchi politici in competizione tra loro, gettando le basi per una nuova costituzione e nuove riforme, compreso l’esercito e le forze di sicurezza, tutto in preparazione di elezioni democratiche multipartitiche da tenersi nel 2014. Compito non facile poiché, all’interno del paese, il movimento secessionista del Sud, le ribellioni dei gruppi zayditi del Nord, le attività delle cellule terroristiche, le divisioni militari che continuano ad ostacolare il trasferimento del potere politico, la lotta fra le tribù che vede gli Hashad contro i Baqil, poi gli al-Qahtan e gli al-Obeida contro gli al-Damashqa, fedeli al presidente e sempre stati presenti in tutti i ruoli chiave della sicurezza, stanno logorando il paese trascinando lo Yemen in una guerra civile. Senza dimenticare che l’ombra dell’ex Rais veleggia sempre sullo Stato, vista la sua influenza e controllo su determinate posizioni strategiche come le forze di sicurezza.
D’altro canto, l’espansione dell’AQAP, al-Qaida nella Penisola Arabica, con il suo braccio locale, Ansar Al-Sharia, operante soprattutto lungo le coste del golfo di Aden, principalmente nel governatorato di Abyan, è diventato il problema principale. L’organizzazione negli ultimi tempi è riuscita a prendere il controllo di molte zone strategiche e a controllare varie regioni; proprio per questo il presidente attuale al-Hadi, negli ultimi mesi, per contrastare l’avanzata, ha schierato sei brigate militari nel sud, ben oltre 10.000 unità militari che hanno ricevuto anche l’appoggio di forze americane e dei droni, per cercare di riprendere il controllo delle zone perdute. Anche se durante giugno sono state riportate delle vittorie importanti che hanno permesso di riacquisire il controllo di alcune zone, riportando ottimismo e fiducia, al-Qaeda può tranquillamente spostarsi e ricollocarsi nel territorio organizzando nuove tattiche e offensive.
L’inviato speciale delle Nazioni Unite Benomar ricorda al Consiglio di Sicurezza ONU quanto ormai sia alto il livello di scontro nel paese, citando gli attentati suicida avvenuti proprio in questo periodo nella capitale Sana’a durante una parata militare uccidendo novanta soldati e ferendone trecento o all’uscita di una caserma uccidendo le reclute. Questi tentativi da parte dell’organizzazione evidenziano che il problema è diffuso in tutto il paese ed è molto difficile da estirpare senza un aiuto esterno; l’intensificarsi delle attività contro obiettivi internazionali e regionali rischiano di far crollare l’accordo firmato a novembre in Arabia Saudita e la fragile transizione politica appoggiata da Stati Uniti, GCC e ONU. Inoltre ultimamente, secondo fonti del ministero yemenita, si sono intensificati i controlli poiché c’è grande paura per l’infiltrazione di estremisti e terroristi provenienti dalla Somalia che entrano nel paese insieme agli sfollati che chiedono asilo per causa umanitaria. Ecco perché per la prima volta il 27 giugno scorso, senza tanti giri di parole, il Ministro degli Esteri yemenita Abu Bakr al-Kurbi ha ammesso che lo Yemen ha richiesto esplicitamente l’intervento dei droni americani per “alcuni casi specifici” e colpire determinati punti strategici di al-Qaeda8.
Vista l’importanza strategica del paese, che si affaccia non solo sull’Oceano Indiano ma anche sul Mar Rosso, e posizionato davanti al Corno d’Africa, gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita cercano di intervenire nell’ombra per non attirare troppo l’attenzione e salvaguardare, non solo le tonnellate di petrolio che attraversano quelle acque ogni giorno per essere dislocate in tutto il mondo, ma anche altri interessi come ad esempio le basi militari schierate intorno alla regione yemenita. La Casa Bianca ha dichiarato che l’affiliazione di al-Qaeda in Yemen è la principale minaccia internazionale esistente per l’America e che va combattuta per eliminarla: ecco perché l’Esercito statunitense e la CIA stanno coordinando una campagna distinta ma collegata dove vengono impiegate forze speciali, missili cruise sparati dalle navi e utilizzati i droni. Secondo il Los Angeles Times un contingente di almeno venti truppe per operazioni speciali staziona all’interno del paese usando intercettazioni, immagini satellitari, video droni e altri mezzi tecnici per individuare i militanti e colpirli. Gran parte del coordinamento delle operazioni militari nello Yemen avviene in Gibuti a Camp Lemonier, base militare americana, dove sono presenti caccia militari F-15 e i droni, che vengono tenuti sempre pronti per il decollo, non lontano dal territorio yemenita, ovvero alle Seychelles e in Etiopia.
Il ruolo diretto militare dell’amministrazione Obama in Yemen è più ampio di quanto riportato in precedenza e si possa pensare, e rappresenta un profondo coinvolgimento nel conflitto crescente della nazione che rischia il tracollo e l’erompere dell’ennesimo conflitto. Tuttavia saranno molte le sfide che dovrà affrontare il governo nascente del paese nel ripristinare la stabilità e la sicurezza in Yemen e la cosa certa è che da solo non riuscirà a estirpare questa “malattia” ormai diffusa su tutto il territorio.
English to Spanish: Intervencion Iraq General field: Social Sciences Detailed field: Journalism
Source text - English Abstract:
As long as the violence continues in throughout territory, the members of the United Nations and the Arab League are looking for a solution for the syrian problem, because the riks to destabilize all area and leading to a civil war could pave to various scenarios. Syria is a key for the development of events and the fall of Al-Assad, as if he maitains the power, will have broad implications in all Middle East. It is uncertain how the Middle East situation will evolve and optimism raised by riots in other countries has gone. The rise of the Islamists can break the geopolitical balance in the region and the syrian situation is much more important and will have a greater impact, but for now it is an enigma.
Translation - Spanish Resumen:
Mientras la violencia sigue en todo el territorio, los miembros de las Naciones Unidas y la Liga Árabe se reúnen para encontrar una solución al problema sirio que arriesga con desestabilizar toda la región convirtiéndose en una guerra civil y abriendo las puertas a varios escenarios. Siria constituye un elemento fundamental para el desarrollo de los acontecimientos y la caída de Al-Assad, como si consigue sobrevivir, tendrán amplias repercusiones en todo Oriente Medio. Es incierto hacia dónde irá Oriente Medio y el optimismo despertado por las revueltas de otros países se ha ido. El ascenso de los islamistas puede romper el equilibrio geopolítico de la región y el caso de Siria es mucho más importante y tendrá mayores repercusiones, aunque de momento es un enigma.
Italian to Spanish: Podria una intervencion militar..... General field: Social Sciences Detailed field: Government / Politics
Source text - Italian A distanza di molti mesi dall’inizio dello stato d’agitazione in Siria, nel febbraio 2011, che ha seguito a catena tutte le altre sollevazioni che hanno interessato molti Paesi arabi, la situazione non tende a migliorare, sicché l’attenzione internazionale ha cominciato a concentrarsi sulla regione che gli arabi chiamano Bilâd ash-Shâm.
Le manifestazioni di protesta in Siria sono andate aumentando e si sono diffuse in diverse città del paese vicino-orientale. Esplicatesi sin da subito in atti violenti, sono sfociate in sanguinosi scontri tra esercito e “attivisti” (progressivamente sostituiti da “gruppi armati”), ed hanno come obiettivo quello di fare “pressione” sul presidente Bashâr al-Asad affinché realizzi riforme in senso “democratico”.
Queste rivolte nascono dieci anni dopo l’inaugurazione di “programmi di sviluppo” attuati attraverso grandi finanziamenti volti allo sviluppo di città come Aleppo e Damasco: nonostante tutti i problemi, secondo una recente relazione congiunta di ambasciate e consolati sull’analisi socio-economica e del mercato turistico, la Siria ha visto una chiara crescita (1).
L’opposizione è alquanto divisa al suo interno.
Il gruppo di opposizione principale è il Consiglio Nazionale Siriano (CNS), una coalizione di sette gruppi di opposizione, la quale, sebbene abbia ottenuto un “riconoscimento internazionale” (vale a dire occidentale), è molto criticato per essere frammentato al suo interno, non riuscendo tra l’altro ad ottenere l’approvazione dei gruppi di minoranza.
L’Esercito Libero Siriano si è trasformato in un gruppo di coordinamento per coloro che hanno deciso di andare nelle strade con le armi per combattere il governo. Allo stesso tempo è molto criticato negli stessi ambienti dell’opposizione per non essere capace di darsi un comando unificato.
Il Comitato di Coordinamento Nazionale invita al dialogo con al-Asad e, a differenza di alcuni membri del CNS, si oppone fortemente all’intervento straniero in Siria.
Il 26 febbraio un “Gruppo patriottico siriano” è nato dalla scissione operata da ex membri del Consiglio Cittadino Siriano.
La divisione tra le varie componenti non permette consente all’opposizione di ricevere l’appoggio internazionale necessario per far cadere il regime ba’thista. Molti inoltre vedono che il CNS non ha un programma economico o una “visione” per il futuro della Siria, mentre le dispute interne al Consiglio e la conseguente mancanza di un capo minacciano di lasciare il Consiglio privo della capacità di agire.
Il quadro regionale e internazionale è molto complesso ed esiste il rischio che il tentativo di rivoluzione si converta in una guerra civile di lunga durata. Le condizioni per infiammare una regione turbolenta (per fattori endogeni ed esogeni) ci sono tutte, e possono trovare plastica rappresentazione nell’attuale fermento di tutto il mondo arabo.
In Siria, come in tutti i paesi interessati dalla “primavera araba”, si gioca una partita tra fazioni opposte che hanno visioni differenti rispetto alle alleanze internazionali. Per questo, interventi diretti armati come avvenuto in Libia sono molto difficili da portare a termine; di fatto la Libia aveva, e ancora oggi ha, una configurazione tribale che prescinde in buona parte dal dibattito tra le diverse interpretazioni dell’Islam.
Analizzando poi la composizione della popolazione siriana, si può notare che il 70% è sunnita, mentre il restante 30%, invece, è sciita; in questo 30% rientra la comunità alawita, considerata da molti come la corrente più eterodossa dell’Islam, che occupa gran parte dell’esercito e dei servizi segreti.
In base all’art. 3 della Costituzione, l’appartenenza religiosa del Presidente deve essere quella musulmana (non è precisato se debba essere sunnita o sciita) e la legislazione ha come fonte principale la giurisprudenza islamica. La Siria non è dunque, come vorrebbe un abusato luogo comune, uno “Stato laico”. E’ un paese costituzionalmemnte musulmano che, proprio in quanto tale, prevede la convivenza di diverse comunità confessionali. E su questa varietà confessionale si innesta la rete delle solidarietà con gruppi e governi di altri paesi del Vicino Oriente.
La Turchia sostiene i sunniti in generale; i paesi del Golfo appoggiano politicamente e finanziariamente le correnti wahhabite e salafite; le tribù sunnite dell’Iraq si mobilitano per fornire armi ai ribelli, compresi i gruppi radicali come quelli “vicini ad al-Qâ‘ida”. Dall’altra parte, tanto Hezbollah quanto la Repubblica Islamica dell’Iran sostengono principalmente gli sciiti, il che giustifica la simpatia iraniana per l’attuale dirigenza siriana (il presidente Asad appartiene alla minoranza alawita).
La Siria ricopre un’area strategica di 185.180 kmq al centro del Vicino Oriente; confina a nord con la Turchia, ad est con l’Iraq, a sud con la Giordania e ad ovest con Israele e il Libano. Ad ovest la Siria si affaccia sul Mediterraneo. Questo territorio costituisce perciò un elemento fondamentale nello sviluppo degli avvenimenti presenti e futuri in tutta l’area vicino-orientale e anche a livello internazionale. Con il passare dei giorni, il rischio che la Siria si trasformi nel nuovo Iraq è sempre più concreto. La confusione che si è creata negli ultimi mesi non fa sperare in qualcosa di buono, e ogni giorno arrivano notizie sempre più preoccupanti.
La Lega Araba intanto prova a gestire la crisi per ridurre il ruolo delle Nazioni Unite e dell’Occidente in generale, provando a cementare il mondo arabo sotto un’unica guida; ma l’invio dei suoi osservatori sul territorio siriano si è dimostrato più difficile del previsto, con il conseguente fallimento della missione dovuto in buona parte alla sua disorganizzazione (2).
Nonostante le condanne delle Nazioni Unite e delle grandi potenze mondiali, sia le sanzioni inflitte al governo siriano – quali, ad esempio, la decisione di ritirare tutti gli ambasciatori dalla capitale Damasco, di bloccare i trasporti o di “congelare” i fondi siriani all’estero – sia i passi compiuti dal governo – quali il referendum costituzionale (3), dall’esito positivo, che dovrebbe aprire la porta al multipartitismo con il conseguente cambio della costituzione e le annunciate elezioni legislative – non sono stati sufficienti per frenare le violenze e calmare gli animi.
I combattimenti si sono concentrati soprattutto in alcuni quartieri della città di Homs, occupati dai guerriglieri “ribelli”, ed altre rivolte vanno propagandosi a poco a poco in tutta la Siria, nonostante buona parte del paese continui a essere favorevole al presidente.
Nei mesi scorsi, dopo la caduta del regime libico e la cattura di Gheddafi, l’attenzione si era spostata verso la Siria. Considerando l’esito “positivo” della missione in Libia, l’opinione pubblica, soprattutto quella israeliana, riteneva che il governo di al-Asad avesse le ore contate. Forse, però, non si era tenuto conto di fattori interni ed esterni, soprattutto del fatto che l’esercito siriano ha un’organizzazione e una forza nettamente superiore a quella che avevano i Libici.
Intanto, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite continua a discutere senza trovare una soluzione, così nessuna risoluzione viene adottata a causa del veto di Russia e Cina che non desiderano interferenze negli affari interni siriani. Queste due potenze, oltre a rifiutare la destituzione del presidente siriano, perseguono l’obiettivo di una tregua, in modo che le violenze si fermino e le due fazioni, governo e opposizione, valutino la fine dello sterminio di civili innocenti.
La scelta russa e cinese è naturalmente dettata da valutazioni d’ordine geopolitico e militare: così l’Onu appoggia il piano della Lega Araba, incluse le dimissioni di al-Asad e probabili nuove sanzioni, mentre le proposte russe esposte dall’ambasciatore Vitalij Ciurkin vengono ignorate. Russia e Cina difendono con particolare convinzione il principio di sovranità; le visite dell’ex ambasciatore cinese in Siria, Li Huaqing, e del ministro degli Affari esteri russo e responsabile dei servizi segreti Lavrov, ne sono la prova: qualsiasi risoluzione che preveda un cambio al potere non potrà essere accettata.
La Siria ospita nel porto di Tartus l’unica base navale della Marina russa fuori dal territorio dell’ex Unione Sovietica, che è rifornita di armamenti russi (4): negli ultimi mesi sono giunte navi cariche di munizioni ed è stato firmato un contratto da 550 milioni di euro per 36 aerei militari YAK 130, velivoli ultraleggeri utilizzati per addestrare i piloti militari o per attacchi leggeri. Inoltre sono stati acquistati AK-47, RPG ed armi ad alta tecnologia, ossia missili antinave Yakhont, KH-31A e KH-31P. Questi missili, codice NATO SS-N-26 e OTAN AS-17 Krypton, sono sistemi balistici di alta tecnologia. Il Yakhont è un sistema ad alta tecnologia che viaggia a una velocità intorno ai 2000 Km/h a tratti variabili tra i 5 – 10 metri della superficie marina fino ad un altezza di alcune migliaia di metri, in grado di essere lanciato da un unità di superficie, aerei o batterie costiere ad alta mobilità, con una visibilità ai sistemi radar estremamente bassa e capace di raggiungere distanze come 120 kilometri e una velocità supersonica di 3 Mach, quasi tre volte la velocità del suono, procedente a filo della superficie marina e molto difficile da neutralizzare. I KH-31P, invece, nascono come missili antiradar costruiti per distruggere i radar Phased-Array del sistema Aegis della marina americana, cioè per la difesa contro i radar che guidano gli aerei, i velivoli o i missili. Quindi, queste armi non sono solo capaci di difendere da attacchi esterni per mare, ma anche di contrattaccare, arrivando a obiettivi strategici lontani, contro paesi come la Turchia o Israele.
Nel frattempo s‘inizia a valutare anche l’ipotesi di un eventuale intervento militare in Siria per “porre fine alle violenze”. Ma sarebbe davvero la soluzione migliore? Che rischi comporterebbe questa scelta? Le conseguenze potrebbero avere un effetto devastante su tutta la regione vicino-orientale, causando reazioni a catena e destabilizzando tutta l’area, perché dal destino della Siria dipende l’intero equilibrio regionale.
Partendo dal quadro politico interno, oltre ai sostenitori del partito Baath, che ormai sono al potere da tre decenni, ed al fronte degli “Amici della Siria”, troviamo vari gruppi pronti a contribuire al “cambiamento” nel paese; i combattimenti non sarebbero quindi solo “tra alawiti e sunniti”.
La Siria, in questo contesto, dovrebbe affrontare anche chi, approfittando della situazione, creerebbe uno scenario di assoluta confusione come i gruppi terroristici “affiliati ad al-Qâ‘ida” (5), che dal vicino Iraq, secondo fonti dei servizi d’informazione siriani, hanno iniziato a combattere la loro presunta “guerra santa”, in realtà un’azione armata settaria.
Un altro problema regionale sarebbe quello dei Curdi. Il PKK, dopo essere stato messo al bando dalla Turchia, dov’è dichiarato “gruppo terrorista”, negli ultimi anni avrebbe trovato appoggio e rifugio in Siria. Un centro di studi strategici turco è arrivato alla conclusione che la Siria sta fornendo libertà di manovra ai membri curdi del PKK. L’Orsam (6) è giunto a tali conclusioni esaminando informazioni della stampa turca, valutando le agenzie vicine al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) e dichiarazioni del capo del Partito dell’Unione Democratica (PYD), il referente della stessa formazione indipendentista in Siria.
“Negli ultimi mesi la Siria ha lasciato all’organizzazione del PKK uno spazio d’azione, anche se non allo stesso livello che negli anni Ottanta e Novanta”, scrive il Centro, sintetizzando le proprie conclusioni. Analizzando in particolare le dichiarazioni “dei leader del PKK e PYD”, si conclude che c’è “un crescente avvicinamento tra la Siria e il PKK”; l’altra conclusione è quella che “dentro un quadro di sforzi per esercitare un’influenza sui curdi siriani, c’è stata una rivalità tra PKK il nord dell’Iraq (in particolare con il KPD)”.
Le valutazioni confermano una delle preoccupazioni che per molto tempo hanno frenato la Turchia prima di mettersi contro il presidente Bashar al-Asad: oltre al pericolo di una guerra civile dai tratti settari e all’esodo di profughi verso i propri confini, Ankara teme la questione dell’indipendentismo curdo, antico problema che ha in comune con Damasco fino alla parte orientale, lungo 900 km di frontiera. Nell’ottobre del 1998, la Turchia e la Siria firmarono l’accordo di Adana, in base al quale Damasco allontanava il PKK dai suoi territori. La firma arrivò dopo che i due paesi erano stati vicini al punto di rottura, con le minacce turche di un intervento militare se la Siria avesse continuato a dar rifugio ai membri del PKK: pertanto, l’appoggio attuale, riportato dal centro Orsam, sarebbe una replica di tali accuse.
Furono le minacce belliche turche a dare il via all’odissea del leader del PKK, Abdullah Ocalan, che finì in mano degli agenti turchi un anno dopo, vicino all’aeroporto di Nairobi. Con l’ondata di proteste e la crisi in Siria, Ankara ha dissolto qualsiasi “vincolo fraterno” con Damasco, che era stato firmato dal primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan con al-Asad negli, e alla fine dell’estate ha così assunto una posizione contraria al governo siriano, consacrando tale divergenza con delle sanzioni annunciate a Novembre. La stampa turca ha lanciato più volte l’allarme riguardo una strumentalizzazione del Pkk da parte di al-Asad ed una strategia filosiriana pilotata da Ocalan dall’ isola-carcere di Imrali.
Secondo informazioni del controspionaggio turco, il PKK avrebbe anche provato a promuovere un’ondata migratoria verso la Turchia. A livello ufficiale, le avvertenze o inquietudini turche rispetto alla Siria circa il fatto che quest’ultima potrebbe usare la carta dell’indipendentismo curdo per creare problemi alla Turchia erano sorte in autunno per bocca del ministro degli esteri Ahmet Davutoglu e del presidente della Commissione degli Affari esteri del parlamento di Ankara, Volkan Bozkir.
L’intervento militare in Siria quindi trascinerebbe tutta l’intera regione meridionale in un conflitto irrefrenabile. È plausibile che da tre decadi, ormai, il governo siriano sia in strette relazioni con i Pasdaran (Esercito dei Guardiani della Rivoluzione islamica), e perciò con la milizia libanese di Hezbollah e quella palestinese di Hamas. Si scatenerebbe perciò una guerra civile su molti fronti, ed inevitabilmente si troverebbero implicati altri paesi.
Secondo fonti d’intelligence, sembra che da alcuni mesi i Guardiani della Rivoluzione iraniana starebbero addestrando i generali siriani e fornendo armi alla Siria, offrendo cosi un aiuto all’esercito siriano. Però non sembrano essere gli unici stranieri operanti in Siria, perché rimettendosi a quello che riporta la pagina web dell’intelligence israeliana Debka file (7), dentro al territorio siriano ci sarebbero, oltre a vari gruppi armati procedenti dalla Libia, Turchia, Iraq ecc., anche unità di forze speciali britanniche e del Qatar, infiltrate in città come Homs, anche se non starebbero partecipando direttamente ai combattimenti, ma starebbero aiutando con assistenza tecnica e militare i “ribelli”.
Lo stesso Israele non è rimasto impassibile, e si sta preparando a qualsiasi evenienza, anche se l’opinione pubblica è titubante: queste perplessità, dissimulate dallo stato ebraico, sono il risultato di una presa di coscienza della pericolosità di armare una parte della “ribellione” in Siria, molto vicina ad al-Qâ‘ida e ad altri gruppi estremisti. Tel Aviv nutre forti timori rispetto a una possibile affermazione dell’Islam “fondamentalista” al posto del presente governo siriano, preferendo quasi l’attuale situazione di “stallo”.
Lo stesso capo uscente di Hamas, Khaled Mesh’al, ha annunciato che appoggerà tutti quelli che si opporranno al governo siriano. Simbolo di un movimento islamico sunnita che da molto tempo godeva della protezione e dell’appoggio di Damasco, Hamas ha deciso a sorpresa di tagliare i ponti con il regime siriano, senza fare passi indietro (8). Insieme a Mesh’al, molti dirigenti di Hamas in esilio si sono trasferiti a Doha, nel Qatar, che si è trasformato nel nuovo sponsor politico del movimento palestinese, assumendo un ruolo concorrenziale nei confronti dell’Iran. Anche il numero due dell’organizzazione, Musa Abu Marzuk, ha dichiarato dal Cairo che seguirà la linea di Mesh’al e sarà sempre favorevole alla “rivolta” in Siria, proprio mentre era in corso la riunione degli “Amici della Siria” a Tunisi.
Il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, ha acclamato la rivolta contro il regime siriano: “Saluto tutti i popoli della primavera araba. Saluto l’eroico popolo siriano in lotta per la libertà, la democrazia e le riforme”, ha detto di fronte a una folla riunita davanti alla moschea al-Azhar al Cairo, la scuola di teologia sunnita più importante. “No all’Iran, no a Hezbollah, perché la Siria è islamica”, ha risposto la moltitudine con un evidente riferimento alla composizione alawita, e quindi sciita, del governo di Damasco. L’allontanamento di Hamas dal regime siriano non è solamente il risultato di una ricollocazione politica, più pragmatica e “moderata”, rispetto a quella della precedente direzione di Mesh’al. Hamas non ha alcuna intenzione di sostenere “la democrazia e le riforme” in Siria, visto che i capi di Hamas, per molti anni a Damasco, ben protetti, non hanno mai interferito con la politica interna del paese. Hamas ha dovuto prendere una decisione di fronte al conflitto siriano, che assume sempre più le caratteristiche di un conflitto tra settari di varia appartenenza e la maggioranza (sunnita, sciita, alawita, cristiana) della popolazione.
Nelle decisioni di Hamas, ha avuto un ruolo fondamentale anche il Qatar, stretto alleato degli Stati Uniti, che, dopo aver promosso l’intervento della NATO in Libia, ha visto rafforzato il proprio status nella regione. Doha finanzia i Fratelli Mussulmani ed altri movimenti settari in Siria, Egitto, Libia e Tunisia. Hamas – nata nel 1987 grazie ai Fratelli Mussulmani di Gaza – ha compreso che la sua “svolta moderata” godrà di un generoso contributo economico da parte dell’emiro del Qatar.
In tutto questo intreccio politico–militare, quali sarebbero le soluzioni della “crisi siriana” in grado di evitare un totale caos ed il massacro?
Senza dubbio la cosa più importante, in questo momento, è creare una situazione di fiducia per cui la Croce Rossa Internazionale (CICR), la Mezzaluna Araba Siriana e le associazioni umanitarie possano arrivare in tutto il paese, in una situazione di assoluta sicurezza, attraverso “corridoi” creati per la volontà di entrambe le parti, governo e opposizione, per poter assicurare la necessaria assistenza nei luoghi più colpiti e curare la popolazione evacuando i malati più gravi. Creare questi canali o una “zona cuscinetto” attraverso la Turchia o altri paesi circostanti dovrebbe però essere un’opportunità per poter aiutare a livello medico-sanitario la popolazione, non un’occasione per introdursi militarmente nel territorio siriano e dispiegarvisi logisticamente: è per questo che il governo siriano si è fatto sospettoso, e non è facile che accetti una situazione simile, specie di lunga durata. Inoltre non possiamo dimenticare che, come sottolinea l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, una questione molto delicata è quella dei profughi, che dopo molti mesi di conflitto hanno iniziato un esodo di massa, muovendosi verso le frontiere libanesi e turche. La stessa portavoce dell’organizzazione spiega che è stato organizzato un piano ben definito per la Siria (9), specie alle frontiere, per assistere con cibo e aiutare le persone in fuga, ed aggiunge che gli ultimi report contavano approssimativamente più di trentamila rifugiati.
Un’altra missione congiunta dei paesi della Lega Araba correrebbe il rischio di risolversi in un altro fallimento, sia per la disorganizzazione dimostrata in quella precedente, ma anche per la difficoltà di inviare persone in grado di valutare la situazione in maniera neutrale, senza influenze di alcun tipo. Per questo si è pensato a Kofi Annan: una personalità che potesse rappresentare l’ONU e allo stesso tempo la Lega Araba poiché visto come figura estranea da ogni tipo di pressione e interesse. La missione dell’inviato speciale, ex segretario generale delle Nazioni Unite, come osservatore nelle zone di guerra ha come obiettivo ufficiale quello di “fermare il massacro di civili”.
La missione di Annan si è rivelata più dura del previsto e non è facile ristabilire una situazione cosi complessa. Egli stesso ha esortato il governo e l’opposizione a lavorare insieme per una soluzione che rispetti le aspirazioni del popolo siriano per proporre, un poco per volta, un dispiegamento di “Forze di Pace” delle Nazioni Unite. Nelle sue dichiarazioni dal Cairo, dove si trovava in visita prima di viaggiare verso Damasco, Annan ha affermato che “i siriani sono un popolo ritrovatosi intrappolato nel mezzo di un conflitto”.
Così, in questo momento più che mai, vi è il bisogno di trovare una soluzione rapida poiché con la “riconquista” di Bab al-Amru da parte dell’esercito siriano che ritorna a controllare la zona strategica dei ribelli, il rischio di attentati verso i civili e militari, con lo scopo di destabilizzare il paese e creare confusione, è sempre più concreto.
Una soluzione interessante potrebbe essere quella di ottenere il consenso per dispiegare nel Paese forze speciali russe in collaborazione con l’esercito siriano, per aiutare a restaurare l’ordine e la tranquillità. Un’ipotesi questa che, secondo vari osservatori russi (10), potrebbe essere plausibile soprattutto dopo la “riconquista” del Cremlino da parte del presidente Putin. Questa sarebbe un’opzione da considerare perché l’alleanza tra le due nazioni è molto forte e la stima reciproca tra i due governi faciliterebbe la “pacificazione”.
Nelle ultime settimane ci sono stati movimenti nei vari territori confinanti con la Siria, dove secondo l’agenzia americana Nsnbc (11) gli Stati Uniti hanno consegnato all’Arabia Saudita 84 nuovi Boeing F–15 Fighter con i quali andrà a potenziare significativamente la sua flotta già esistente. Allo stesso tempo, emerge attraverso un report giordano secondo il quale, negli ultimi mesi, un numero imprecisato di truppe statunitensi, ritiratesi dall’Iraq, sono state dispiegate nella base aerea militare giordana e nella zona di al-Mafrag, lungo la frontiera sirio-giordana (12). Notizia confermata anche da fonti vicine all’ex primo ministro giordano Marouf Bakhit, secondo il quale i militari statunitensi si sarebbero stabiliti in una zona cuscinetto vicino al confine nord, situata intorno alle città di al-Mafrag e Ramtha, che si estende approssimativamente per 30 Km di longitudine e 10 Km di profondità.
Come possiamo vedere, mentre si cerca di trovare una soluzione diplomatica al problema, si prende in considerazione anche qualsiasi altra eventualità. Questo, sempre con l’idea chiara che la Siria, militarmente parlando, non è una “preda facile” come la Libia.
L’esercito siriano è sicuramente più forte e organizzato di quello libico. A differenza di quello libico, la sua competenza lo avvicina a eserciti di rilievo come quello turco o iraniano. Arrivare al punto di dover intervenire militarmente sarebbe così un rischio troppo pericoloso per gli occidentali. Senza dimenticare che i costi di un intervento sarebbero troppo onerosi in tempi di “crisi”. E anche con l’appoggio di Israele, che sarebbe con molta probabilità coinvolto in un conflitto, c’è il rischio di perdere completamente il controllo della regione vicino-orientale in caso di mancato successo.
E mentre molti paesi occidentali continuano a lavorare sostenendo che la soluzione migliore per “fermare le violenze” sarebbe una “transizione politica” per “isolare il regime” – tagliando i flussi principali d’introiti e convincendo l’opposizione a unirsi nell’ambito di un piano di transizione che possa lasciare spazio a tutti i siriani di qualsiasi fede ed etnia -, il presidente siriano ripete alla nazione che “la Siria continuerà in maniera determinata a realizzare le riforme e a combattere il terrorismo appoggiato dall’esterno”, denunciando la “cospirazione straniera” contro il paese (13). Il presidente afferma infatti che “il popolo siriano, che in passato ha contrastato con successo le cospirazioni straniere, ancora una volta ha dimostrato la sua capacità di difendere la nazione e costruire una nuova Siria attraverso la determinazione per realizzare le riforme insieme con la lotta contro il terrorismo appoggiato dagli stranieri”.
In tutto questo, l’ipotesi più gradita da tutte le nazioni sarebbe quella d’inviare una “missione di pace ONU” in tutto il territorio, per garantire serenità ed equilibrio, ma per il momento mancano le condizioni per attuare qualcosa di simile.
Gli sforzi fatti dall’inviato speciale Annan sembrano aver avuto sinora un impatto relativamente positivo, dopo l’approvazione del suo Piano di Pace nel corso della II Conferenza degli Amici della Siria celebrata a Istanbul il 31 di marzo, la quale ha riconosciuto il CNS come interlocutore principale per la negoziazione nel paese e l’organizzazione dell’opposizione siriana.
L’ex Segretario delle Nazioni Unite ha dichiarato che, oltre all’appoggio di Russia e Cina, il presidente al-Asad ha accettato le sue condizioni chiedendo garanzie scritte in modo che anche l’opposizione sia costretta a rispettare le condizioni stabilite nel piano. Dopo aver analizzato dettagliatamente la proposta, il presidente siriano ha deciso di seguire il “piano Annan” con i suoi sei punti chiave: l’apertura di un processo politico che includa le aspirazioni e le preoccupazioni del popolo siriano; la cessazione di ogni tipo di violenza da parte di tutte le fazioni e sotto la stretta sorveglianza delle Nazioni Unite; garanzie per l’accesso agli aiuti umanitari; la liberazione dei prigionieri politici incarcerati; libertà di lavoro per i giornalisti in tutto il paese; il rispetto da parte delle autorità verso qualsiasi associazione e le manifestazioni pacifiche.
Il Piano, che doveva entrare in vigore il 10 di aprile, e che è stato posticipato al 12 aprile, ha incotrato alcuni problemi e di conseguenza non è stato possibile attuarlo. Le violenze, anche se in quantità minore di quelle registrate prima della tregua, non hanno cessato in nessun istante dall’entrata in vigore del cessate il fuoco.
Solo in alcune zone del paese si è notato un lieve cambiamento; in altre, anche se le fonti si contraddicono, gli scontri armati sono aumentati. Secondo il Comitato di Coordinamento Locale dell’opposizione siriana – smentito categoricamente dal governo siriano, che, sebbene informi tramite i suoi canali, non viene assolutamente creduto dai media occidentali – “il regime continua ad uccidere le persone”, molte delle quali nella zona di Idlib, nel confine nord-est con la Turchia, a Daraa nel sud, e bombarderebbe anche la zona di Homs con carri armati ed elicotteri… Inoltre i combattimenti si sarebbero spostati sia verso la frontiera libanese, dove ufficiali libanesi confermano scontri a fuoco tra ribelli ed esercito siriano (14), sia all’interno del Libano con manifestazioni e scontri tra fazioni pro-Asad e gruppi contro il regime.
La Comunità Internazionale ed Annan cercano di operare pressioni sulle due fazioni affinché si rispetti il Piano di pace il prima possibile, sperando di ottenere passi in avanti verso una soluzione stabile. La paura che si tratti di mera retorica è grande e alcuni sostengono l’idea che la relativa pausa – interrotta dalla “strage di Houla” (attribuita a senso unico al governo dai media occidentali e da Aljazeera) – sia stata solo una possibile scusa, sfruttata dall’opposizione, per riarmarsi più e meglio di prima.
La preoccupazione tra i membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite davanti alle difficoltà è crescente, soprattutto dopo che i primi membri appartenenti alla “equipe iniziale” di osservatori dispiegata in Siria, dopo aver approvato la risoluzione 2042, ha incotrato molte difficoltà.
Per questo, dopo aver verificato che il governo siriano non ha completato il ripiegamento delle forze militari e delle armi pesanti dalle città, le Nazioni Unite, dopo aver tenuto un colloquio con il governo siriano stesso, il 21 aprile, hanno elaborato e approvato, all’unanimità, una risoluzione che autorizzi l’invio di una missione di 300 osservatori militari disarmati in Siria per comprovare che venga rispettato il cessate il fuoco accordato tra le parti.
Il programma, denominato ufficialmente “Missione di Supervisione delle Nazioni Unite in Siria” (UNSMIS), ha come obiettivo il dispiegamento sul territorio di osservatori internazionali che abbiano accesso a tutto il paese senza restrizioni, per un periodo iniziale di 90 giorni, ed abbiano la libertà di dislocarsi nelle diverse città ed intervistare i cittadini, come prevede la risoluzione 2043 del Consiglio di Sicurezza (15).
Nel frattempo, i primi sei osservatori internazionali, dislocati nel paese a partire dal 16 aprile, hanno ammesso le difficoltà che hanno affrontato perché le violenze non si fermano.
Le reazioni della Comunità Internazionale non si sono fatte aspettare: i Paesi arabi riunitisi a Doha durante il congresso dei ministri degli Affari esteri del Consiglio di Cooperazione del Golfo, criticano il regime siriano che temporeggerebbe ad applicare il Piano di Pace dell’ONU, minacciando di armare ulteriormente l’opposizione.
La diplomazia occidentale, che continua a programmare nuove riunioni, parla di ostruzionismo e avverte che, se la situazione non cambierà, si dovrà intervenire con la forza.
Molto dura la reazione del capo di Hezbollah. Nella sua prima intervista dopo sei anni, concessa a Julian Assange per la televisione russa “Russia Today” (16), Sayyed Hassan Nasrallah ha invitato l’opposizione siriana al dialogo con il governo siriano, il quale ha sempre appoggiato la causa palestinese. Nasrallah ha avvertito che “l’unica alternativa è la guerra civile, esattamente quello che vogliono gli Stati Uniti e Israele”.
Anche il ministro degli esteri russo Lavrov sostiene che ci sono “Stati che fin dal principio del Piano di Pace di Kofi Annan hanno fatto e stanno facendo molto per far sì che esso fallisca”, e che “gli oppositori armati sono i responsabili per la persistente violenza che finora non ha permesso di adempiere pienamente al Piano di pace”.
Allo stesso tempo, il suo omologo siriano, Walid Muallem, parlando da Pechino con il ministro degli Esteri cinese Yang Jiechi, durante una visita ufficiale, ha dichiarato che il governo siriano rispetterà il Piano di Pace di Kofi Annan: “La Siria – ha aggiunto Yang – lo seguirà impegnandosi nell’attuazione del Piano di Pace”.
Nonostante siano passati ormai molti mesi, le soluzioni al “problema siriano” stentano ad arrivare. Nemmeno la riunione di Chicago della NATO è riuscita a proporre qualcosa di concreto. Solo il presidente turco Gul, invitando i vari Stati a prendere una posizione decisa, ha proposto di aumentare notevolmente il numero degli osservatori per far sì che il piano Annan non fallisca.
Intanto gli scontri rischiano di trascinare anche il Libano in una guerra civile sempre più estesa.
Siamo vicini ad un intervento militare?
Vista la situazione attuale di totale confusione e di continua instabilità, soprattutto a causa degli attentati, la cosa da evitare ora anche se per molti potrebbe essere la “soluzione”, è un ristagno in una logorante guerra civile, la quale devasterebbe la vita dei siriani.
Translation - Spanish
Después de muchos meses del comienzo de la revuelta en Siria, que fue en febrero de 2011, siguiendo en cadena todas las otras revoluciones que han tenido lugar en el mundo árabe, la situación no tiende a mejorar y la atención internacional ha empezado a trasladarse hacia esta región.
Las manifestaciones en Siria han ido en aumento y se han extendido en diferentes ciudades del país.
Las protestas, que se han convertido en actos violentos desembocando en sangrientos combates entre ejercito y activistas, tienen como objetivo presionar al presidente Bashar al-Asad para que realice las reformas necesarias y enfoque el estado hacia un camino democrático sin olvidarse del descontento causado por el hambre, la pobreza, la corrupción y el paro.
Estas revueltas nacen unos diez años después de la inauguración de los programas de desarrollo neoliberales a través de un procedimiento de gran desarrollo y grandes inversiones en ciudades como Aleppo y Damasco, y a pesar de todos los problemas, según un recién informe conjunto entre embajadas y consulados sobre el análisis socio-económico y del mercado turístico, el país ha experimentado un claro crecimiento1.
La confrontación entre el gobierno de Siria, y los activistas esta tomando proporciones cada vez más elevadas y la comunidad internacional observa preocupada condenando los atraques.
La diplomacia se está moviendo para solucionar la situación pero sin una acción unitaria: no obstante la crisis en curso, la oposición se queda muy destacada.
La grande variedad de grupos políticos, disidentes en exilio, activistas de base y militantes armados no han conseguido ponerse de acuerdo para derrocar el presidente Bashar Al-Assad.
Distintos grupos han intentado de crear coaliciones para unificar a los partidarios de la oposición en Siria, obteniendo ayuda y reconocimiento internacional:
El grupo de oposición es el Consejo Nacional Sirio (CNS), una coalición de siete grupos de oposición, y aunque la CNS haya conseguido el reconocimiento internacional, es muy criticada para ser internamente fragmentada y no conseguir la aprobación de los grupos de minoría.
El ejercito libre de Siria se ha convertido en un grupo de coordinación para los que han decidido de salir a la calle con las armas contra el gobierno. Pero es muy criticado para su incapacidad de unificarse bajo una única cadena de comando.
El Comité Nacional de Coordinación invita al dialogo condicionado con el gobierno de Al-Assad y a diferencia de algunos miembros del CNS, se opone con vehemencia a una intervención extranjera en Siria.
Por último, ha nacido el 26 febrero, un nuevo grupo sirio patriótico formado por un grupo escindido por ex miembros del Consejo Ciudadano Sirio.
El descontento aumenta y el fraccionamiento entre la oposición de Siria no permite recibir el apoyo internacional necesario para derribar al presidente.
Muchos ven que el CNS no tiene un programa económico o una visión para el futuro de Siria, y las disputas internas al Consejo y la consiguiente falta de un líder fuerte amenaza con dejar sin capacidad de actuación al Consejo.
El cuadro regional e internacional es más complejo existiendo el riesgo de que una revolución se convierta en una guerra civil muy larga. Las condiciones para inflamar una región que en su historia siempre ha sido turbulenta son presentes (en 1982 el ejercito sirio sitió la fortaleza sunita de Hama causando entre los 20.000 y los 30.000 muertos) y se pueden encontrar en el actual fermento del mundo árabe.
Desde luego, en Siria, como en todos los países implicados en la “primavera árabe”, se juega un partido entre facciones islámicas opuestas que tienen visiones diferentes respecto a las alianzas con el mundo occidental. Por eso, acciones de intervención armadas directas como sucedió en el escenario de Libia, son en estos casos muy difíciles de llevar a cabo; de hecho la Libia tenía y todavía tiene una configuración tribal que no incomoda la polémica secular entre las diferentes visiones del Islam. Analizando, sin embargo, la composición de la población de Siria, se puede notar cómo el 70% es sunnita mientras el restante 30%, en cambio, es chiíta; dentro de esta última parte se encuentran alauitas (considerada como corriente heterodoxa del Islam tradicional) y que ocupan gran parte del ejercito y de los servicios secretos. Las dos corrientes islámicas no se llevan muy bien, al contrario guardan un profundo desprecio la una por la otra y están apoyadas por entidades políticas en contraste dentro de la área medio oriental: por un lado Turquía y los países del Golfo apoyan a los sunnitas políticamente y financieramente; por otra parte, tanto Hezbollah como Irán pertenecen a la confesión chiíta, hecho que creemos justifica, en cierto modo, la simpatía del país persa por el régimen de al-Assad y las minorías chiíes del país.En Irak, las tribus sunnitas se movilizan para suministrar armas a los rebeldes con el riesgo de armar también a los grupos radicales como al Qaeda, que llama a la guerra santa contra el gobierno de Siria.
Esta república presidencial gobernada por el presidente Bashar al Assad, que pertenece a la minoría étnica alauita, es una zona estratégica que se encuentra en el centro del medio oriente por 185.180 km² y que limita al norte con Turquía, a este con Irak, al sur con Jordania y al oeste con Israel y Líbano. También al oeste se asoma al Mar Mediterráneo.
Este territorio y su política constituyen en elemento fundamental para el desarrollo de los acontecimientos presentes y futuros en todo el área del Medio Oriente y a nivel internacional.
Ahora, con el paso de los días, el riesgo que la Siria se convierta en el nuevo Irak está cada vez más cerca.
La confusión que se ha creado en los últimos meses no hace llegar buenas noticias, pues cada día son siempre mas preocupantes.
La Liga Árabe intenta moverse para afirmar su primacía político en la región medio oriental y tiene la intención a gestionar la crisis para reducir el papel de las Naciones Unidas (ONU) y de Occidente en general intentando “cimentar” el área pan – árabe bajo una única guía, convirtiéndose en una entidad internacional muy fuerte y buscando salir de la definición de estados tercermundistas.
No obstante, la oportunidad después del envío de sus observadores al territorio sirio se ha revelado mas difícil de lo previsto con el consiguiente fracaso de la misión debido a la insuficiencia y desorganización, como se desprende del relato2, con la consiguiente resignación del líder de la Liga Árabe Al – Dabi, y la “escalada” de la violencia.
A pesar de las condenas de las Naciones Unidas y de las grandes potencias mundiales, las sanciones impuestas al gobierno de Al – Assad, como la decisión de retirar todos los embajadores de la capital, bloquear los transportes, congelar los fundos monetarios, o los pasos hecho por el gobierno como el éxito positivo del referéndum costitucional3, que debería abrir las puertas a la política del país y al multipartidismo, con el consiguiente cambio de la constitución y las anunciadas elecciones legislativas, non han sido suficientes para detener las violencias y calmar los ánimos.
Los combates siguen, y se concentran sobre todo en la ciudad de Homs, bombardeada incesantemente, propagándose poco a poco las revueltas propagan en todo la Siria, a pesar de que una buen parte del país todavía siga a favor del presidente alauita.
Los meses pasados, después de la caída del régimen libio y la captura de Gaddafi, la atención se había desviado sobre Siria y considerando el éxito positivo de la misión en Libia, la opinión publica, y sobre todo la israelí apoyaban que el gobierno de Al – Assad tenia las horas contadas. Pero, quizás, no habían tenido en cuenta de muchos factores interiores y exteriores que caracterizan ese acontecimiento, sobre todo el hecho de que Bashar y su ejercito, tienen una organización y una fuerza mucho mas superior a la que tenían los libios.
Mientras los combates siguen por todas partes, llegan señales siempre mas preocupantes, y el Consejo de Seguridad de Naciones Unidas (ONU) sigue discutiendo sin encontrar una solución al problema, además del fracaso de las resoluciones por medio del veto que emiten Rusia y China ponen para no permitir de interferir en la situación de Siria y no quieren dar ningún paso atrás.
Los dos países se alinean a favor del gobierno alauita rechazando la solución que prevé su caída y queriendo discutir para una tregua para que las violencias se paren y las dos facciones, gobierno y oposición, evalúen una hipótesis que permita de detener el exterminio de civiles inocentes.
Esta elección por parte de las dos grandes potencias mundiales esta condicionada por maniobras geo – políticas y militares y por las que no quieren absolutamente privarse además del hecho de que las últimas resoluciones apoyaban el plan de la Liga Árabe, incluida la resignación de Al – Assad, con probables sanciones futuras mientras las propuestas rusas por parte del embajador Vitaly Churkin habían sido ignoradas.
Rusia y China defienden con particular convicción los conceptos de soberanía y las visitas por parte del ex embajador chino de Siria, Li Huaqing, o el ministro de asuntos exteriores y también responsable de inteligencia extranjera, Lavrov, son la prueba: cualquier resolución que tenga la intención de un cambio de poder no podrá ser aceptada.
El presidente sirio aloja la única base naval de la marina rusa fuera de los territorios de la antigua unión soviética en el puerto de Tartus además de comprar armas rusas4: en los últimos meses han llegado naves cargas de municiones por la Siria además de reforzar la alianza firmando un contrato de 550 millones de euros por 36 aviones aéreos militares YAK 130, velívolos ultraligero utilizados para adestrar a los pilotos militares o por atraques ligeros.
Además de las AK-47 y RPG armas de alta tecnología, o sea misiles antibuque YAKHONT, KH-31A y KH-31P. Estos misiles código OTAN SS-N-26 y OTAN AS-17 Krypton, son sistemas balísticos de alta tecnología:
El Yakhont es un sistema de alta tecnología que viaja a una velocidad alrededor de 2000 Km/h a tramos variables entre los 5-10 metros de la superficie marina hasta algunos miles de metros en grado de ser lanzado por una unidad de superficie, aéreos o batería costera de alta movilidad, con una visibilidad de los sistemas radar extremamente baja, y capaz de alcanzar distancias como 120 kilómetros y una velocidad supersónica de 3 March, casi tres veces la velocidad del sonido, procedentes al ras de la superficie marina y muy difíciles de derribar.
Los KH-31P sin embargo nacen como misiles antiradar construidos para destruir los radar Phased-Array del sistema Aegis de la marina americana, o sea para la defensa personal contra los radar que guía los aviones, los velívolos y los misiles.
Entonces, estas armas, no son capaces solo de defender da ataques exteriores por mar, sino también de contraatacar, llegando a objetivos estratégicos lejanos, contra países como la Turquía o Israel.
Mientras tanto se empieza a analizar la situación evaluando también la hipótesis de una intervención militar; ¿pero seria realmente la mejor solución? ¿y que riesgos implicaría esta elección?
Las consecuencias podrían tener unos efectos devastadores en todo el área Medio Oriental causando reacciones en cadena y desestabilizando toda la región por que a través de Siria depende el equilibrio regional.
Empezando por un escenario de política interior además de los seguidores del partido Baath, que llevan tres décadas en el poder, y el antagonista “Amigos de la Siria”, encontramos también varios grupos listos para contribuir al cambio del país; los combates no tendrían lugar solo entre alauitas y sunitas sino también implicarían otras minorías.
La Siria, en este contexto, tendría que enfrentarse también contra quien, aprovechando de la situación, crearía un escenario de absoluta confusión como los grupos terroristas, Al-Qaeda5 sobre todo, que desde el cercano Irak, según fuentes de inteligencia, han comenzado a moverse hacia la región de Siria para combatir sus cruzadas.
Otra problemática regional seria la de los Curdos, y sobre todo del partido Pkk, que en los últimos años, después de haber sido expulsado de la Turquía y declarado grupo terrorista, han encontrado apoyo y refugio con el presidente Al-Assad.
Tras la confirmación de una serie de indicios por varias partes en los últimos meses, un centro de estudios estratégicos turco ha llegado a la conclusión que la Siria esta dando espacios de maniobra a los miembros curdos del Pkk, la cual, por otra parte, contrasta con la región autónoma de Irak septentrional.
L’Orsam6, en uno estudio publicado por el centro, ha llegado a esta conclusión examinando informaciones de la prensa turca, evaluaciones de las agencias cercanas al Partido de los trabajadores del Kurdistan (Pkk), declaraciones de la misma formación independentista del líder del Partido de la unión democrática (Pyd), su misma ala política de Siria.
“En los meses recientes la Siria ha suministrado a la organización curda del Pkk un espacio de acción aunque no al mismo nivel que en los años Ochenta y Noventa”, escribe el centro sintetizando las propias conclusiones. Analizando en particular las declaraciones “del líder de Pkk y Pyd”, se concluye que hay “un creciente acercamiento entre Siria y Pkk”, la otra conclusión es que “dentro un cuadro de esfuerzo para ejercer una influencia sobre los curdos sirios, ha habido una rivalidad entre el Pkk y el Norte de Irak (en particular con el Kdp)”.
Las evaluaciones confirman una de las preocupaciones que han refrenado, por mucho tiempo, a Turquía de dejar al presidente Bashar Al-Assad : junto al peligro de una guerra civil con rasgos sectarios y al éxodo de prófugos hacia los propios confines, Ankara teme la cuestión del independentismo curdo, antiguo problema que tiene con Damasco hacia la parte oriental a lo largo de los 900 Km de frontera común. En Octubre de 1998, Turquía y Siria firmaron el acuerdo de Adana (nombre de una ciudad meridional de turca en la que fue suscrito) en base a la cual Damasco alejaba el Pkk de sus territorios. La firma llegó después de que los dos países alcanzaran el punto de ruptura con las amenazas turcas de una intervención militar si Siria hubiese continuado en dar refugio a los miembros del Pkk: por lo tanto el apoyo actual, reportado por el centro Orsam, seria una réplica.
Fueron las amenazas bélicas turcas a aviar la odisea del líder del Pkk, Abdullah Ochalan, que acabó en manos de los agentes turcos un año después, cerca del aeropuerto de Nairobi. Con las pancartas de protesta y la crisis en Siria, Ankara ha disuelto cualquier vínculo “fraterno” con Damasco, firmado por el primer ministro turco Recep Tayyip Erdogan con Al-Assad en los últimos años, y al final del verano, asumió una posición en contra del gobierno de Siria, consagrando la separación con sanciones anunciadas en Noviembre. La prensa turca ha lanzado numerosos alarmes por una instrumentalización del Pkk por parte de Al-Assad y su estrategia pro-siria piloteada por Ochalan desde la isla-cárcel de Imrali.
Según informaciones de inteligencia turca, el Pkk, también ha intentado promover una hola migratoria hacia la Turquía. A nivel oficial, las advertencias o inquietudes acerca de la posibilidad de que Siria haga presión sobre el independentismo curdo para crear problemas a la Turquía habían surgido en otoño por parte del ministro de los asuntos exteriores Ahmet Davutoglu y por el presidente de la Comisión de asuntos exteriores del parlamento de Ankara, Volkzan Bozkir.
La intervención militar en Siria arrastraría entonces a toda la entera región meridional a un conflicto irrefrenable. Es posible que desde hace unas tres décadas, el gobierno alauita de Bashar Al-Assad, esté implicado en relaciones de poder que propiciarían que los Pasdaran (ejercito de los guardianes de la Revolución Islámica) controlen la milicia libanesa de Hezbollah, y de la palestina Hamas.
Se desencadenaría una guerra civil con muchos frentes donde inevitablemente se implicarían otros países.
Según fuentes de inteligencia, parece ser que desde hace unos meses, las Guardias de la Revolución iraníes podrían estar adiestrando a los generales sirios y de suministrar armas a Siria, ofreciendo así ayuda al ejército sirio desde dentro.
Pero no son los únicos, por que remitiéndose a lo que refiere la pagina Web de la inteligencia israelí Debka file7, dentro del territorio sirio habrían además que a los varios grupos armados procedentes de Libia, Turquía, Irak etc., también unidades de fuerzas especiales de Bretaña y Qatar, infiltradas en Homs y aunque no participarían directamente en los combates, estarían ayudando con asistencia técnica y militar a los “rebeldes”.
El mismo Israel no ha permanecido impasible, y si está organizando para cualquier eventualidad aunque la opinión publica sea titubeante: estas perplejidades escondidas por el estado de Israel, son el resultado de una conciencia y de la peligrosidad de armar a una resistencia en Siria muy cercana a Al-Qaeda y a los grupos extremistas. Jerusalén nutre fuertes temores acerca de una posible afirmación del Islam integrista sobre la autoridad de Al-Assad, aunque por medio de elecciones democráticas, casi prefiriendo la actual situación de estasis.
El mismo líder saliente de Hamas, Khaled Mesh’al, ha anunciado que apoyará todos aquellos que se opongan al gobierno sirio.
Símbolo de un movimiento islámico sunnita que desde muchos años gozaba de la protección y apoyo de Bashar Al-Assad propio a Damasco, decide de cortar las relaciones con el régimen sin dar pasos atrás8.
Junto a Mesh’al, muchos dirigentes en exilio se ha mudado a Doha, en Qatar, que se ha convertido en el nuevo sponsor político de Hamas y destinado a relevar la figura del Irán entre los principales financiadores del movimiento.
También el numero dos de la organización, Musa Abu Marzuk, declaró desde el Cairo que se mantendrá en la línea de Mesh’al y será favorable a la revuelta en Siria: esto ha sido un movimiento que surgió mientras estaba en curso la reunión de los “Amigos de la Siria” en Túnez, y que indica también un enfriamiento de las relaciones con Teherán, aliada de Damasco.
El líder de Hamas, Ismail Haniyeh, ha aclamado la revuelta contra Al-Assad: “Saludo a todos los pueblos de la primavera árabe o más que nada al invierno islámico. Saludo al heroico pueblo sirio en lucha para la libertad, la democracia y las reformas”, ha dicho frente a un publico reunido delante de la mezquita de Al-Azhar en el Cairo, la mas importante escuela sunitas de teología. “No al Irán, no a Hezbollah, por que la Siria es islámica” ha contestado la multitud con una evidente referencia a la composición alauita, y por lo tanto chiíta, del gobierno de Damasco.
El alejamiento de Hamas desde el régimen sirio no es simplemente el resultado de una reubicación política, mas pragmática y moderada, bajo el impulso de su precedente líder Mas’hal. Y es cierto que no tienen la intención a sostener “democracia y reformas” en Siria, visto que los lideres de Hamas por muchos años a Damasco, bien protegidos antes por el padre de Bashar y luego por él mismo, nunca han interferido en la política del país. Hamas, tuvo que tomar una decisión ante del conflicto sirio que asume más que nunca las características de un enfrentamiento sectario entre la minoría alauita al poder y la mayoría sunnita del País.
En las decisiones de Hamas, ha tenido un papel fundamental el Qatar también, pequeño país pero emprendedor reino del Golfo (estrecho aliado de los Estados Unidos) que después de promover la intervención de la OTAN en Libia, se ha visto reforzar su status, en la región. Doha financia los Hermanos Musulmanes y los movimientos similares en Siria, Egipto, Libia y Túnez. E Hamas, - nacido en 1987 por los Hermanos Musulmanes de Gaza – ha comprendido que su “cambio moderado” será acompañado por una generosa contribución económica por parte del emir de Qatar.
En todos esos enlaces de situaciones político – militares ¿cuáles serian las soluciones que podrían resolver la problemática en Siria sin crear un desorden interior y parar la masacre?
Sin duda lo mas importante, en este momento, es crear una situación de confianza donde el Comité Internacional de la Cruz Roja (CICR), la Media Luna Roja Árabe Siria y las asociaciones humanitarias puedan llegar a todo el país, en una situación de absoluta seguridad, a través de unos canales creados por la voluntad de ambas partes, gobierno y oposición, para poder asegurar a las operaciones humanitarias cuyo objetivo sería llevar asistencia a los lugares mas afectados y curar a la población antes de evacuar a los enfermos.
Crear estos canales o zona de amortiguamiento a través de la Turquía u otros países circunstantes tiene que ser una oportunidad para poder ayudar a nivel medico-sanitario a las personas y no una ocasión para introducirse militarmente en el territorio sirio y desplegarse logísticamente: es por eso que el régimen de Al-Assad, desconfiado, no es fácil que acepte una situación similar, o de toda maneras, algo perdurable.
Además no podemos olvidarnos que, como recuerda la Agencia de la ONU para los refugiados (ACNUR), una cuestión muy delicada, es la de los prófugos, que después de muchos meses de conflicto, han empezado un éxodo masivo moviéndose hacia las fronteras libanesas y turcas.
La misma portavoz de la organización explica que tienen un plan muy bien organizado para la Siria9 y que desde hace tiempo se están alineado en las fronteras para asistir con comida y ayudas a las personas que huyen, y que los últimas reportes contaban aproximadamente mas de treinta mil refugiados.
Otra misión conjunta por los países de la Liga Árabe correría el riego de ser otro fracaso, ya sea por la desorganización demostrada en la anterior expedición, o bien por la dificultad de enviar personas en grado de evaluar la situación juzgando de manera neutra la cuestión sin ser influidas interna o externamente por cuestiones socio – económicas o político – religiosa.
Por ello se ha pensado en Kofi Annan: una personalidad que pudiese representar a la ONU y al mismo tiempo la a Liga Árabe.
La misión del enviado especial, ex secretario general de las Naciones Unidas, como observador en las zonas de guerra tuvo como objetivo parar la matanza de civiles que sigue sin tregua.
No obstante, el hecho de que sea una personalidad destacada de grande en esta misión no es suficiente para restablecer una situación tan compleja. Él mismo animó al gobierno y a la oposición a trabajar hacia una solución que respete las aspiraciones del pueblo sirio para proponer mas adelante un despliegue de Fuerza de Protección de Naciones Unidas.
En declaraciones desde El Cairo, donde se encontró en visita previa a viajar a Damasco, Annan aseguró que los sirios son un pueblo ancestral y valiente que se ha visto atrapado en el medio de un conflicto.
Y ahora más que nunca hay que encontrar una solución por que después de la “conquista” de Bab Al-Amru por parte del ejercito sirio y el control de la zona estratégica de los rebeldes, el riego de atentados, hacia los civiles y los militares, a desestabilizar el país y crear confusión con un baño de sangre es muy alto y no será un problema fácil de erradicar a causa de los diferentes grupos radicales en el territorio.
Una solución interesante podría ser la aceptación del despliegue de fuerzas especiales rusas en colaboración con el ejercito sirio para ayudar a restaurar el orden y la tranquilidad. Una hipótesis esta que, según varios observatorios rusos10, podría ser todavía más probable después de la “re-conquista” del Kremlin por parte del presidente Putin. Esta sería una opción a considerar por que la alianza entre las dos naciones es muy estrecha y la estima reciproca de los dos gobiernos facilita la situación visto que el régimen aceptando podría calmar la opinión publica sabiendo que la presencia rusa non iría a alterar el equilibrio interno.
En las últimas semanas, ha habido movimientos en los varios territorios que limitan con Siria, donde según la nsnbc11, agencia americana, los EE.UU. han entregado a la Arabia Saudita, 84 nuevos Boeing F – 15 Fighter con los que se potenciará significativamente su flota existente. Al mismo tiempo se desprende de un reporte jordano que, en los últimos meses, un número desconocido de tropas estadounidenses, retiradas de Irak, han sido desplegadas en las bases militares aéreas de Jordania y en los pueblos cercanos a Al-Mafrag, a lo largo de la frontera sirio-jordana12. Noticia confirmada también por fuentes cercanas al ex primer ministro jordano Marouf Bakhit, según las cuales que se habría establecido una zona de amortiguación junto al confín norte, situada alrededor de las ciudades de Mafraq y Ramtha, y que se extiende aproximadamente por 30 Km de longitud y 10 Km de profundidad.
Como podemos ver, mientras se intenta buscar soluciones diplomáticas para poner freno al problema en la manera mejor, se tiene en cuenta cualquier eventualidad. Esto siempre con la idea clara de que Siria, militarmente hablando, no seria un territorio fácil por que no es la Libia y no seria conveniente poner en practica las estrategias utilizadas en el norte del país africano. A pesar de eso, en el territorio libio, ha sido mas difícil de lo que se esperaba visto que la resistencia encontrada en este País, los combates, se han persistido por mucho tiempo.
El ejército sirio es seguramente más fuerte y organizado como repartos y instrumentación, que a diferencia del libio, es lo que se acerca más a ejércitos relevantes como el Turco, Iraní o Libanés.
Llegar a esta situación seria un riesgo muy peligroso, donde probablemente se pagaría un precio demasiado grande vista su organización interna.
Sin olvidarnos que, otro punto desfavorable, sería el esfuerzo a nivel económico, los gastos a nivel financiero que una intervención similar requiere en una situación de crisis mundial.
También con el apoyo de Israel la situación no cambiaria y hacer un paso decisivo en este sentido podría significar también perder el controle total de la región, sobre todo por lo que podría interesar las relaciones con Líbano e Irán.
Y mientras muchos países de Occidente siguen trabajando sosteniendo que la oportunidad mejor para parar las violencias seria empezar una transición política donde aislando el régimen, también se cortarían los flujos principales de introito, convenciendo la oposición a unirse en el ámbito de un claro plan de transición que pueda dejar espacio a todos los sirios de cualquier fe y etnia, el presidente Bashar al-Assad habla nuevamente a la nación sosteniendo que “la Siria sigue determinada a realizar las reformas y combatir el terrosismo apoyado por el exterior” evocando otra vez a la “conspiración extranjera” contra el propio pais13, declara que “el pueblo sirio, que en pasado ha podido desbaratar con éxito conspiraciones extranjeras, aun una vez ha demostrado su capacidad de defender la nación y construir una nueva Siria a través de la determinación a realizar las reformas juntos con la lucha contra el terrorismo apoyado por el extranjero”.
La hipótesis mas agradecida por todas las naciones seria enviar una misión de paz ONU en todo el territorio, para garantizar serenidad y equilibrio, aunque por el momento faltan las condiciones para actuar algo parecido.
Los esfuerzos realizados por el enviado especial Annan parecen tener efecto y toda la Comunidad Internacional, después de haber aprobado su Plan de Paz durante la II Conferencia de los Amigos de Siria celebrada en Estambul el 31 de marzo que ha reconocido al CNS como interlocutor principal para las negociaciones en el país y organización paraguas para la oposición siria, espera buenas noticias.
El ex secretario de las Naciones Unidas ha declarado que además del apoyo de Rusia y China, el presidente Bashar al-Assad ha aceptado las condiciones pidiendo que haya garantías escritas de manera que también la oposición respete las condiciones, después de habar analizado los seis puntos del plan que prevee la apertura de un proceso político que incluya las aspiraciones y preocupaciones del pueblo sirio, el cese de todo tipo de violencia y de todas las partes y bajo la vigilancia de las Naciones Unidas, garantías al acceso de la ayuda humanitaria, la liberación de los presos políticos encarcelados de forma arbitraria, libertad para el trabajo de los periodistas en todo el país, el respeto de las autoridades a libertad de asociación y a la manifestación pacífica.
El Plan que debía entrar en vigor el 10 de abril, y que se retrasó el 12 de abril, ya ha tenido algunos problemas por lo que no ha sido posible cumplirlo. La violencia, aunque en menor medida que la registrada antes de la tregua, no ha cesado ningún día desde que entró plenamente en vigor el alto al fuego.
Solo en algunas zonas del país, se ha visto un cambio y las tropas se han retirado; en otras, aunque las fuentes se contradicen, los ataques han aumentado: según los Comité de Coordinación locales de la oposición siria, el régimen sigue matando a las personas, muchas de las cuales en la zona de Idlib, en el confín norte-este con la Turquía, en Daraa, en el sur, y bombardearía también a Homs con tanques y helicópteros. Además los enfrentamientos, además, se habrían trasladado también hacia la frontera libanesa, donde oficiales libaneses han confirmado que los tiroteos entre los rebeldes y el ejercito sirio habrían llegado hasta los limites del territorio sirio, precisando pero que las tropas no han cruzado la frontera14.
La Comunidad Internacional y Annan presionan todavía para que se cumpla este plan lo antes posible esperando que se produzca un avance hacia la solución y que no se trate de mera retórica política, visto que algunos ya avanzan la idea de que esta pausa sea una posible excusa para rearmarse.
La preocupación crece entre los miembros del Consejo de Seguridad de la ONU ante las dificultades que enfrenta el equipo inicial de observadores desplegado en Siria después de haber aprobado la resolución 204215.
Por eso, tras haber comprobado que el régimen no ha completado el repliegue de fuerzas militares y de armamento pesado de las ciudades, las Naciones Unidas, después de tener un coloquio con el régimen sirio, el 21 de abril, ha elaborado y aprobado , por unanimidad, una resolución que autoriza el envío de una misión de 300 observadores militares desarmados a Siria para comprobar que se cumple el alto el fuego acordado entre las partes.
El programa, denominado oficialmente Misión de Supervisión de Naciones Unidas en Siria (UNSMIS), quiere llevar a cabo una misión que prevee un despliegue de observadores internacionales en el país que tendrán acceso sin restricciones en todo el país , por un período inicial de 90 días, y tendrán libertad para desplazarse por las diferentes ciudades y entrevistar a los ciudadanos que estimen oportunos., como prevee la resolución 2043 del Consejo de Seguridad16.
Mientras tanto, los primeros seis observadores internacionales, desplegados en el país a partir del 16 de abril, admiten las dificultades que están afrontando por que la violencia no para.
Las reacciones por parte de la Comunidad Internacional no se hicieron esperar: los países árabes desde Doha, durante la cumbre de los ministros de los asuntos exteriores para la cooperación del Golfo, estigmatizan el régimen sirio, que titubea en la aplicación del Plan de Paz de la ONU, amenazando con armar a la oposición.
La diplomacia occidental, que programa una nueva reunión entre los miembros internacionales, habla de obstruccionismo y advierte que, si el la situación no cambia, habrá que utilizar la fuerza.
Muy dura fue la reacción del líder de Hezbola, Seyed Hassan Nasrallah, que en su primera entrevista después de seis años, en el primer episodio del programa del fundador de Wikileaks, Julian Assange, para la televisión rusa “Rusia Today”17, ha invitado a la oposición siria al dialogo con el régimen de Assad que “ha apoyado la causa palestina muy bien” y advierte que “la única alternativa es la guerra civil, exactamente lo que quieren EE.UU. e Israel”.
También el ministro de los asuntos exteriores ruso Lavrov sostuvo que hay “Estados que desde el principio del Plan de Paz de Kofi Annan están haciendo mucho para que fracase”, y que “los opositores armados son los responsables por la persistente violencia que no ha permitido cumplir plenamente el plan hasta ahora”.
Mientras tanto su homónimo sirio, Walid Muallem, hablando a Pekín con el ministro de los asuntos exteriores chino, Yang Jiechi, durante una visita oficial, ha declarado que el régimen respetará el Plan de Kofi Annan: “Siria, añade Yang, seguirá empeñándose en la actuación del Plan de Paz”.
Ahora lo que hay que evitar, aunque para muchos podría ser la “solución”, es un estancamiento, a la espera de una autodeterminación del pueblo sirio que podría prolongarse en una estresante guerra civil, que devastaría a los sirios y alteraría el equilibrio político – religioso.
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The languages from which I translate everyday are Spanish, Arabic, Italian and English. Notwithstanding my long stay in Arabic Countries (Jordan, Yemen, Syria and Egypt where i archived so many certificates) and Spain (Country in which I archived philology degree at Granada University) I prefer to translate into Italian and Spanish as quality will not be an issue.
I translate in the abovementioned field on a daily basis and my first prerogative is client’s satisfaction.
or in my profile. If you want more details please look at my CV.
EDUCATION
Graduate school in biological science to address experimental nature Sestri Levante (Italy);
Yemen Language Centre Sana’a, Yemen , Language Certificate. Arabic Language and Yemeni dialect
Koranic Studies. Reading, recitation and interpretation at Yemeni mosque;
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Granada, Al-babtain, Course Moroccan dialect, and base for immigrants reception. Valuation Certificate: excellent;
Genoa University, Languages
Amman, Cervantes Institute, Jordan, Course of Jordanian Dialect, Assessment Certificate: excellent;
Granada, Granada University, degree in Arabic philology, (B.A.H.).